VERSILIA. Nuova puntata di A Spasso con Galatea, la rubrica dedicata all’arte, alla cultura, alla storia e alle tradizioni della nostra Versilia, realizzata grazie a Stefania e Tessa del blog Galatea Versilia.

 

Avete mai notato quelle piccole casette in sassi presenti nei boschi versiliesi? Questi piccoli edifici, molto spesso abbandonati e in rovina, sono stati fondamentali nella vita delle famiglie dei paesi di montagna fino a qualche tempo fa.

Chiamati volgarmente “metati” sono infatti seccatoi per le castagne, alimento base nella dieta dei nostri nonni. Solitamente di piccole dimensioni, sono composti da uno o due locali nella parte bassa e da altrettanti nella parte sovrastante. Il fuoco, necessario nella fase di essiccazione,  viene quindi acceso nel piano inferiore, mentre le castagne si seccano stese su graticci a circa due metri di altezza. Pensate che il fuoco acceso all’interno dell’edificio deve essere alimentato per almeno 30-40 giorni consecutivi (notte e giorno)! E Il fumo si vede fuoriuscire da alcune bocchette presenti lungo le pareti.

Lo scorso anno il Comune di Stazzema ha visto tornare alla luce il metato di Retignano (presente nelle vicinanze del campo sportivo). E questo grazie alla volontà dei proprietari (Famiglia Bichi – Pancetti) e a un progetto dell’Unione dei Comuni che, attingendo da fondi europei, ha reso possibile la ristrutturazione dell’immobile. Il metato è attualmente gestito da Simone Battistini, classe 1980, che lo scorso novembre ha ricevuto un attestato di merito dal Comune di Stazzema.

 Ma Simone non è nuovo a queste cose: ha infatti aperto a Retignano l’azienda agricola Il Castello per vivere a pieno la natura valorizzando e conservando le tradizioni versiliesi e gli antichi mestieri. (Da non perdere la festa della castagna, della ciliegia e le varie degustazioni organizzate durante l’anno, vi consiglio di assaggiare le focacce!).

Con la compagna Laura gestisce infatti la “fattoria didattica” con capre, maiali, asini, cavalli e  galline; si occupa di coltivazione biologica ed è sempre alla ricerca di semi o piante antiche così da non perderne memoria. Qualche anno fa, ad esempio, ha presentato a Villa Cavanis, insieme al gastronomo Beppe Bigazzi, il “pastinocello”, una carota tipica di Sant’Anna la cui coltivazione è a rischio.

Recentemente si sta invece occupando della patata viola, tubero coltivato dai nostri nonni negli alpeggi di Puntato o Ghifata (sopra la galleria del Cipollaio). “Ritrovare la patata viola è stata una scommessa, ne avevo sempre sentito parlare dai vecchi del paese, ma la sua coltivazione fino a qualche anno fa era ormai assente”. A parlare è Gabriele Olobardi, classe 1978, che con grande fatica ha cercato su tutto il territorio italiano un tubero il più possibile somigliante a quello versiliese. E finalmente le sue fatiche sono state ricompensate. “E’ stata una lunga ricerca, ma con la costanza sono riuscito a ritrovare il seme. La particolarità di questa patata, oltre ad avere la buccia viola e la  polpa bianca, è quella di essere resistente al freddo. E’ piccola, difficile da sbucciare, ma squisita se cotta arrosto o fatta a purè. La coltivo ormai da due anni”.

Se fino a qualche anno fa il settore agricolo era considerato poco appetibile, negli ultimi tempi stiamo assistendo ad un’inversione di tendenza: molti sono infatti gli under 40 vicini al mondo della campagna. Solo un anno fa la Coldiretti annunciava che “ben il 23% dei giovani che si iscrivono alle superiori sogna un futuro legato alla terra” e se questo vuole dire anche salvaguardare e valorizzare le nostre tradizioni creando posti di lavoro ben venga!

Stefania Neri, Galatea Versilia

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