Costruita intorno a un nucleo portante di opere provenienti da una raffinata raccolta di arte italiana tra le due guerre, la rassegna rappresenta una deliberata novità per il Centro Matteucci, sinora impegnato a scandagliare in ogni mostra un’unica collezione: in questo caso si è invece voluto ampliare lo sguardo rispetto al periodo storico così ben rappresentato da quella raccolta e ricostruire, seppure sinteticamente, un quadro più vasto, ripercorrendo con esempi di grande qualità, scelti in poche e selezionate altre collezioni private, la cultura artistica italiana negli anni che dalla Belle Epoque attraversano la Grande Guerra, si nutrono felicemente del successivo clima europeo del “rappel à l’ordre” e approdano agli esiti, lungamente rimossi per ragioni ideologiche, ma ormai riconosciuti nel loro valore internazionale, del rinnovato classicismo degli anni Venti e dei primi anni Trenta.
La mostra si apre dunque allo scoccare del XX secolo, quando si pongono le basi di tanta parte dell’arte successiva, e prima di giungere agli anni tra le due guerre appunta il suo interesse sull’avventura delle Secessioni Romane, tanto affascinante quanto poco indagata dopo lo studio pionieristico del 1987 di Rossana Bossaglia con Mario Quesada e Pasqualin a Spadini.
Tre le sezioni che la compongono: “Sotto l’impulso del nuovo secolo”, “Il clima delle Secessioni Romane” e “Ritorno all’ordine, Novecento Italiano e oltre”, affidate rispettivamente alla cura di Ada Masoero, Susanna Ragionieri e Nicoletta Colombo.
È Giuseppe Pellizza da Volpedo ad aprire la sezione “Sotto l’impulso del nuovo secolo” con L’annegato, 1894, opera fondamentale di un percorso di ricerca tecnica che lo avrebbe portato agli esiti altissimi de Il quarto Stato ed esempio di quel “socialismo umanitario” che arricchisce il divisionismo italiano di contenuti inediti rispetto al pointillisme francese. Lo stesso spirito innerva Lo Scaccino, 1900, di Medardo Rosso (unica scultura in mostra) e ispirerà tante opere divisioniste di Giacomo Balla, artista rappresentato dalla precoce Scena notturna. Parigi, 1900, gemella di quella conservata al Museo del Novecento di Milano. Dei “futuri futuristi” sono esposti con lui Umberto Boccioni, con il ritratto della madre intenta a cucire, 1907, splendido fusa in appartenuto a Lamberto Vitali; Carlo Carrà, con un precoce gioiello divisionista come La strada di casa, 1900, e Gino Severini, con il Ritratto del pittore Utter, 1910-1911, un pastello divisionista che, ritraendo il giovane compagno di Suzanne Valadon, prova tra l’altro la partecipazione del nostro artista al migliore ambiente artistico parigino del tempo. Di tema futurista (Macchina in corsa, 1911-1912), ma dai modi schiettamente divisionisti è anche il dipinto di Aroldo Bonzagni, che fu tra i primi firmatari dei manifesti pittorici futuristi del 1910 ma che subito si ritirò, pur continuando a condividere con i compagni d’avventura la passione per il dinamismo e la velocità. Con Giovanni Costetti (Ritratto di Papini, 1903) e Ardengo Soffici (Giocatori di carte, 1909), si entra invece nel fervido ma assai diverso clima culturale della Firenze d’inizio secolo, in cui l’omaggio a Böcklin e la memoria rinascimentale del primo si intreccia con la potente lezione di Cézanne del secondo, frutto della sua conoscenza entusiasta, e di prima mano, dell’impressionismo e del post-impressionismo, avvicinati sin dal 1900 a Parigi e poi promossi instancabilmente in Italia.