VIAREGGIO. Un’ora e mezza per riassumere, con le parole, undici anni di presidenza. Con la voce rotta dall’emozione e il fisico provato da mesi tutt’altro che facili, Stefano Dinelli ha salutato al Bagno Balena la sua gente. Quelle poche persone – gli sportivi viareggini non erano neppure venti – che gli sono state vicine, dandogli conforto e sostegno, sopratutto economico, nel momento di maggiore bisogno.
Una conferenza che ha racchiuso orgoglio, rimpianti, ricordi e speranze. Dinelli non si è mai preso tutti i meriti da solo: non è il tipo. Lo ha dimostrato anche stavolta, condividendo i frutti di un lavoro duro ed impegnativo con i suoi collaboratori. Fidati. Fedeli. Preziosi. Di fatto, insostituibili. Li ha chiamati uno ad uno, ha fatto parlare diversi di loro, affinché raccontassero cosa voleva dire lavorare nel Viareggio. Per il Viareggio. Con pochi soldi, ma tante idee. Una di queste non si è mai realizzata. Eccolo il rammarico di Dinelli. La “Cittadella del Calcio”, all’interno delle quale sarebbe stato costruito il nuovo stadio. Un bel progetto, svanito.
“Mi hanno dato del cementificatore, del matto. Avremmo potuto dare tanti posti di lavoro a una città in cui lavoro non ce n’è più. In cui non ci sono soldi per gli impianti sportivi, dove manca l’acqua calda nelle docce delle palestre, dove gli spogliatoi del campo scuola non sono agibili”.
Come Beppe Vannucchi, direttore generale, che oggi siede sui banchi del consiglio comunale. E che, per evitare possibili strumentalizzazioni, ha preferito non presentarsi oggi al Balena. “Beppe è così, è un puro”, prosegue Dinelli. “Se passando alle dieci di sera davanti allo stadio dei Pini trovavate una luce accesa, quello era lui che lavorava per il Viareggio. Il suo contribute nel calcolare il minutaggio dei giocatori giovani e i relativi contributi economici della Lega Pro è stato straordinario. Pensate che ci chiamavano proprio dalla Lega per confrontare i dati: Beppe ha progettato un modello di gestione impeccabile”.
Al tavolo, assieme all’ex numero uno bianconero, siedono alcuni di questi amici: Mirko Lippi, Massimo Moscardini, Raffaello Pieraccini. E poi appare anche il figlio Andrea. Gli occhi si inumidiscono quando Dinelli si rivolge a lui “e alla sua generazione, a cui lasciamo una città che è un cumulo di cenere: dovranno rimboccarsi le maniche per far tornare Viareggio quella che era. Il nostro progetto rimarrà un punto di riferimento per i giovani.
“L’Esperia è la dimostrazione che a Viareggio è ancora possibile realizzare qualcosa di bello anche con poche risorse. Servono cuore, cervello, coraggio e passione, quei valori che la società di oggi non è più in grado di difendere, di ripristinare”. Un appello accorato, schietto, sincero. Scevro da retorica e demagogia. Un atto d’amore verso una città a volte ingrata e che troppo spesso non sa riconoscere o valorizzare il suo lato migliore. E il Viareggio di Dinelli, di certo, non apparteneva a quello oscuro.
Gabriele Noli
Simone Pierotti