VIAREGGIO. Nei carri grandi spadroneggiano i mascheroni centrali circondati dai figuranti: è il dato che balza maggiormente all’occhio dopo aver assistito alla prima sfilata del Carnevale di Viareggio 2015. In generale, non si registrano costruzioni di scarsa qualità o che fanno gridare allo scandalo. Anche se, come ogni anno, c’è chi ha osato e chi ha giocato sulla difensiva.

“Avanti piano quasi indietro” di Alessandro Avanzini. Il dominatore (quasi) incontrastato degli ultimi anni abbandona per una volta la strada dell’innovazione per rendere omaggio alla figura del padre Silvano. Il risultato è un carro ben modellato e senza sbavature – la tartaruga è rappresentata come anelante agli 80 euro sventolati da Renzi-Mandrake – ma privo di quello slancio che ha caratterizzato opere come “Migranti” o “Rexpubblica”, quasi a voler tradire una mancanza d’ispirazione. Capita anche ai migliori.

“Quello che non vorrei vedere” di Massimo Breschi. Dimenticatevi il Breschi dei pagliacci ridanciani e dei titoli chilometrici: il suo carro è fortemente innovativo nella scenografia e gioca abilmente sull’emotività del pubblico. Allo sgargiante vestito del giullare sul quadro frontale – ottima l’idea di far indossare lo stesso costume ai figuranti – fa da contraltare l’angosciosa e sinistra parte posteriore, con il mostro senza volto che appare dal sipario, esaltata in notturna da un gioco di luci bianche, rosse e azzurre. Azzeccata la colonna sonora di “Profondo rosso” così come le ballerine in carne e ossa. Se riesce a regimentare un po’ la coreografia delle maschere…

“Il grande freddo” di Gilbert Lebigre e Corinne Roger. È un altro carro che ha impressionato e che si candida alla vittoria finale. La coppia italofrancese, grazie anche al contributo dei loro tre figli, confeziona una costruzione geniale nell’uso dei materiali alternativi alla cartapesta (vedasi le spugnette dei capelli di Obama o il tessuto-non tessuto della pelliccia di Putin), ricco di particolari (le ciminiere e le piattaforme petrolifere in rilievo sul mappamondo centrale) e di movimenti (i tre politici vestiti da clochard che si sfregano le mani per scaldarsi). Una satira che si presta a più chiavi di lettura.

“Mutti – La grande madre” di Stefano e Umberto Cinquini. Fa discutere (c’è chi la trova splendidamente irriverente, chi volgare) e soprattutto potrebbe finire sulle copertine dei giornali di tutto il mondo. La sua forza sta nell’immediatezza del messaggio: una Angela Merkel che dà alla luce tanti piccoli Renzi non ha bisogno di troppe parole, così come l’immagine dei banchieri che tentanto di aggrapparsi all’albero della cuccagna. La smorfia della cancelliera tedesca è davvero quella di una donna in procinto di procreare. Contagiosa e coinvolgente, come sempre, la coreografia.

“Riformers” di Simone Politi e Priscilla Borri. Potremmo definirli gli “outsider” della prima categoria. Perché se finissero nella parte medio-alta della classifica non sarebbe uno scandalo. Basta il mastodontico Renzi transformer per lasciare traccia: l’espressione da gonzo sul volto e il giro a trecentosessanta gradi ben trasmettono il concetto di un premier esitante e stretto nella morsa tra alleati e oppositori. Le tavole a fumetti che cingono la base della carretta sono un tocco di classe che appassionerà i nerd.

“Bella ciao!” di Roberto Vannucci. È un carro con tanti pregi e pochi difetti. Partiamo dai primi: il tricolore italiano sia nei vestiti dei figuranti che nella sottana della grande ballerina è di forte impatto e la figura centrale è soavemente sinuosa nei movimenti. Un carro non nazionalista bensì patriottico, che invita ad amare di più una terra – l’Italia – capace di esprimere grandi eccellenze. Deliziosa l’idea della scenografia fatta a palchetti di teatro che però risulta un po’ sacrificata dal gigantismo della ballerina.

“Riempici di gioia” di Fabrizio Galli. Il carrista presidente dell’Assocostruttori prova a percorrere vie sperimentali e si presenta con una struttura in ferro azzurro riempita da un giubilante Re Carnevale che indossa il vestito di Burlamacco. Accattivante la coreografia con l’uso dei soli che passano dal giallo-arancione al nero-verdefluo. Forse non è chiarissimo il riferimento alla città di Viareggio, anche se il testo della canzone rap scelta come colonna sonora contribuisce a spiegare il significato.

“Oro bianco” di Luigi e Uberto Bonetti. Il grande elefante risalta per la brillantezza dei colori, da sempre marchio di fabbrica dei due fratelli, e per la particolarità delle macchie di leopardo e le strisce di zebre e tigri dipinte sul corpo per denunciare la mattanza di animali in via d’estinzione. Anche se, a onor del vero, il pachiderma si presentava monocromatico nel bozzetto… Simpatica la presenza di alcuni suonatori di bongo a bordo del carro, meravigliosi i costumi delle maschere.

“Non ci fossilizziamo” di Carlo Lombardi. Dispiace sempre criticare un’opera d’arte dietro cui si nascondono comunque mesi di lavoro e di fatiche (e quest’anno più che mai). Però il titolo richiama una vecchia mascherata di gruppo dello stesso Lombardi, quasi a denotare scarsa fantasia. La carcassa del tirannosauro è imponente, ma il carro si esaurisce praticamente qui. E si avverte la sensazione che mancano alcune rifiniture.

“Tentazioni” di Franco Malfatti. Dipingere un carro quasi interamente di marrone e nero è un autentico azzardo, perché rischia di apparire : quello di Malfatti non dispiace per la dolcezza e l’innocenza del volto di Pinocchio – il burattino sembra davvero una scultura in legno – e per i movimenti ondeggianti degli spettri che conferiscono una certa dinamicità all’intera costruzione. Se tuttavia si ripensa ai fasti de “L’isola misteriosa” o di “Sortilegio”…

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2015 carnevale di viareggio carri prima categoria

ultimo aggiornamento: 01-02-2015