Ventiquattro palloni colorati come le bandiere di altrettanti paesi giacciono sul campo da gioco dello stadio di San Siro. Sul cerchio di centrocampo si trova una mongolfiera ricoperta da fiori che le conferiscono l’aspetto di una palla da calcio. Poi, all’improvviso e in perfetta sincronia, i palloni si aprono: diventano margherite a sei petali che sprigionano migliaia di palloncini in volo verso il cielo sopra San Siro. È lo spettacolo preparato dai carristi del Carnevale di Viareggio per la cerimonia d’inaugurazione dei Mondiali di calcio di Italia ’90, andata in scena esattamente l’8 giugno di ventidue anni fa. Una ricorrenza, questa, che coincide con l’apertura di un altro evento pallonaro, gli Europei in Polonia e Ucraina.

Il mondiale italiano, che diventerà celebre per gli occhi sgranati di Totò Schillaci, la grande delusione azzurra e gli incredibili sperperi di denaro pubblico, dà il benvenuto da Milano. È la Scala del calcio, rinnovata per l’occasione con il celebre tetto, ad ospitare la gara inaugurale tra l’Argentina campione del Mondo ed il Camerun. Prima di assistere all’inattesa vittoria degli africani per 1-0 grazie alla rete di François Omam-Biyik, il pubblico del “Meazza” e i telespettatori collegati da 115 paesi diversi si godono lo spettacolo della cerimonia di apertura, diretta dal regista Piero Zuffi.

carnevale italia 90 1Gli occhi del globo sono sull’Italia e il paese, per non sfigurare, si affida alle sue eccellenze. La musica, prima di tutto: mentre figuranti in costume portano le bandiere delle 24 nazioni partecipanti sul prato di San Siro, Edoardo Bennato e Gianna Nannini eseguono “Un’estate italiana”, la celebre canzone delle “notti magiche” composta dal re dei sintetizzatori Giorgio Moroder. C’è la moda, con gli stilisti Gianfranco Ferré, Missoni, Mila Schön e Valentino chiamati a disegnare i costumi simbolo dei quattro diversi continenti rappresentati ai Mondiali. C’è la lirica, con le note dell’ “Aida” di Giuseppe Verdi che riecheggiano all’interno dell’impianto di gioco. E poi c’è l’arte del Carnevale di Viareggio.

Sono numerosi i carristi impiegati in quello che, di fatto, sarà il momento più atteso della cerimonia. Tra loro figura un Emilio Cinquini alle prime armi: “Fu Zuffi in persona a presentarsi a Viareggio”, ricorda il costruttore. “Era stato a Venezia prima e a Cinecittà poi, ma gli esiti non furono quelli sperati. Provò, allora, con i carristi viareggini e si recò al baraccone di Arnaldo Galli per proporgli la sua idea.

“Arnaldo gli chiese una settimana di tempo e in sette giorni quel geniaccio si mise al lavoro. Creò un prototipo, utilizzando una batteria da 12 volts rimediata da uno sfasciacarrozze, e lo fece vedere a Zuffi, il quale diede il suo benestare. A quel punto, partì l’intera operazione.”

I coordinatori dei lavori sono lo stesso Arnaldo Galli, affiancato dall’abile fratello Giorgio, il compianto Raffaello Giunta e Carlo “Bocco” Vannucci: del gruppo dei “senatori” manca all’appello il solo Silvano Avanzini, impegnato nella realizzazione di un colonnato di 70 metri da collocare presso lo Sheraton Hotel di Firenze. A svolgere la manovalanza è un nutrito gruppo di giovani leve della cartapesta.

Una di queste è Roberto Vannucci, figlio d’arte all’epoca impegnato nelle mascherate di gruppo. “Per me fu un’occasione unica”, ricorda Vannucci, oggi affermato carrista di prima categoria. “Ero ancora agli inizi, eppure mi si presentò subito la possibilità di lavorare per un evento irripetibile come i Mondiali di calcio.

“Io e Carlo Lombardi svolgemmo parte del lavoro, occupandoci di quattro palloni.” Palloni destinati a trasformarsi in margherite che racchiudevano a loro volta palloncini e, soprattutto, il genio dei carristi viareggini: “L’elettronica era già parecchio diffusa all’epoca e molti pensarono a chissà quale diavoleria”, prosegue Vannucci. “In realtà, adottammo una soluzione semplice ma allo stesso tempo spettacolare, nella miglior tradizione del Carnevale di Viareggio.”

A Cinquini il compito di descriverla: “Ogni pallone era stato tagliato in sei spicchi: per tenerli chiusi, in cima furono piazzati dei chiodini sporgenti e delle fascette di gomma, simili a quelle che si usano per i capelli. Tutti i ventiquattro palloni erano poi collegati tra loro con un filo di nylon che, al momento opportuno, avremmo collocato su questa batteria incandescente che lo avrebbe spezzato, aprendo tutti i petali dei palloni-margherite nello stesso istante.”

Man mano che i due carristi proseguono nella narrazione, le loro rievocazioni si arricchiscono di alcuni aneddoti: “Ricordo le prove generali al campo da calcio della Vigor”, dice Vannucci. “I palloni dovevano essere disposti in un certo modo sul prato di San Siro, come da accordi. Sono certo che le foto di quel giorno sono custodite da qualche parte.

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“Fu un lavoro faraonico e stancante, ma anche una bellissima esperienza: non c’è mai stata un’altra occasione dove i giovani e la vecchia guardia abbiano collaborato così a stretto contatto. Proprio quell’anno è stato una sorta di spartiacque che ha gettato le basi per un primo ricambio generazionale all’interno dei carristi.

“Non mancarono, poi, momenti divertenti. Capitò, ad esempio, che ci ritrovammo con dei doppioni perché gruppi diversi avevano realizzato, per sbaglio, due palloni che rappresentavano lo stesso paese. Altri, invece, invertirono i colori di alcune bandiere, qualcuno fece confusione tra Irlanda, Scozia e Inghilterra… tutti piccoli malintesi a cui rimediammo nell’arco di una giornata e che accogliemmo con una risata.”

I palloni arrivano finalmente a Milano e vengono effettuate le ultime prove. I carristi presenti sono rigidi come corde di violino: il minimo ritardo o intoppo può risultare fatale. “La frenesia e la tensione per quei preparativi furono senza eguali”, racconta Cinquini. “Alloggiammo in un albergo vicino allo stadio e a pranzo andavamo sempre al buffet del vicino ippodromo di San Siro. Ci capitò la fortuna di conoscere di persona Caterina Caselli e Bruno Pizzul. Era tutto fantastico.”

E poi arriva il grande giorno. “Io e un altro carrista, mi pare fosse Umberto Cinquini, eravamo dietro il palco dove cantarono Bennato e la Nannini, accucciati dietro i cartelloni pubblicitari”, continua Cinquini. “Un’immagine che mi è rimasta impressa è quella di un signore che si aggirava con delle forbici da parrucchiere sul prato di San Siro, tagliuzzando l’erba di zolla in zolla. A vedere le partite in televisione, nessuno s’immaginerebbe scene simili.”

Opening-Ceremony-World-Cup-1990-Italy-2_2364268Tanta tensione, ma alla fine lo spettacolo fila liscio. “Tutto funzionò alla perfezione”, dice Cinquini senza esitazioni. I 90mila presenti allo stadio rimangono con il naso all’insù e a rendere il quadro ancor più struggente per i telespettatori contribuisce il blackout del commento televisivo. Come svela poi il carrista stesso, le immagini di quella cerimonia campeggiano oggi sulle pareti del Museo del calcio a Coverciano, assieme a tre esemplari di Coppa Carnevale con il Burlamacco in bronzo.

Lo spettacolo, tuttavia, ha un amaro epilogo. “L’unica, grande delusione fu che il nome del Carnevale di Viareggio non comparve nei titoli di coda, come invece stabiliva il contratto”, ricorda Vannucci. “Ma non credo che sia questo il motivo del mancato coinvolgimento dei carristi in simili iniziative negli anni successivi, con l’unica eccezione delle Olimpiadi invernali di Torino.

“Ad aprire la strada verso questo tipo di collaborazioni con il cinema ed il teatro furono i vari Avanzini e Galli: parliamo di gente che ha lavorato per Fellini. Grazie a loro, Viareggio e la sua arte della cartapesta si fecero conoscere in tutto il mondo. Poi, paradossalmente, è stato fatto un passo indietro: molti costruttori oggi vivono di solo Carnevale e si preoccupano solo dei carri. Spetta a loro fare il salto di qualità.”

Cinquini volge lo sguardo sull’intera categoria: “Quando ci mettiamo a lavorare tutti assieme e non litighiamo, noi carristi siamo davvero una potenza”, osserva. “Ma, appunto, troppo spesso ci facciamo del male da soli.

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“Credo, poi, che il primo sponsor dei carristi dovrebbe essere la Fondazione Carnevale. L’errore, a mio avviso, è sempre stato strutturale: si è sempre nutrita la convinzione che siano gli altri a dover venire a cercarci. Invece siamo noi che dovremmo proporci a potenziali clienti.

“Ovviamente ogni singolo carrista ha la sua storia personale, fatta di successi, sconfitte e varie collaborazioni all’esterno del Carnevale. Ma, appunto, ogni volta che abbiamo lavorato tutti assieme i risultati sono stati lusinghieri.

“La nostra forza è che siamo abituati a tirar fuori grandi idee e le realizziamo con pochi mezzi in tempi brevi. Peccato, però, che di treni ne abbiamo persi tanti in questi anni…”

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