Foto Andrea Zani

VIAREGGIO. Quando nel maggio 1993 lo strabiliante pallonetto di Stefano Cuoghi sancì il trionfo del Parma nella finale di Coppa delle Coppe a Wembley contro l’Anversa, l’allenatore dei ducali Nevio Scala difficilmente avrebbe immaginato di consegnare, un giorno, un premio proprio a quel giocatore che, adesso, prova a ripeterne le gesta in panchina.

E invece, quel giorno, è arrivato. Precisamente a Viareggio, dove si è svolta la ventottesima edizione del Premio Sport “Gherardo Gioè” e dove Cuoghi sta compiendo un lavoro eccezionale alla guida dell’undici bianconero, una delle rivelazioni del girone B della Prima Divisione di Lega Pro. Il tecnico emiliano è stato premiato per la miracolosa salvezza di un anno fa ed ha ricevuto il trofeo proprio da Scala, l’ultimo suo allenatore. “Stefano per me è una figura speciale”, racconta Scala. “Con me ha vissuto gli anni d’oro del Parma e poi è stato un mio prezioso collaboratore sia allo Shakhtar Donetsk, sia allo Spartak Mosca.

“È una persona di grandi qualità e con tanto carattere. Allo stesso tempo è poco diplomatico, non ama i compromessi e questo nel calcio di oggi non paga, almeno all’inizio. Stefano, ad ogni modo, è un tecnico molto preparato e qui a Viareggio ha trovato sua dimensione: nel calcio a volte ci vuole anche la fortuna e se continua così sono convinto che gli si apriranno le porte per una carriera importante.”

E quando Scala aggiunge “spero che qualcosa da noi l’abbia copiato”, il pensiero corre immediatamente al modulo che Cuoghi impiega a Viareggio, quel 3-5-2 che, con gli esterni di centrocampo in fase di ripiegamento, ricorda il 5-3-2 del Parma dei miracoli. “Per fare un certo gioco serve imparare alcuni meccanismi, ma c’è bisogno anche di elementi adatti. Stefano conosce bene i suoi giocatori, può passare dal 3-5-2 al 5-3-2, ma anche al 4-4-2, senza problemi, perché è uno che ha studiato e si vede.”

Parlare di Cuoghi significa, appunto, ricordare il trionfo in Coppa delle Coppe nel tempio del calcio e, con esso, i successi di una provinciale della Serie A italiana che, all’epoca, dettava legge in Europa. “Quel Parma rimarrà una squadra inimitabile”, ricorda Scala, che per Natale, nel 1990, omaggiò i suoi giocatori la poesia “Se” di Rudyard Kipling. “Era un gruppo dalla qualità straordinaria, fatta di giocatori che scendevano in campo per il gusto di divertirsi e che affrontavano qualsiasi avversario con la stessa mentalità, senza stare a guardare se fosse il Milan, la Juventus o una squadra di bassa classifica.

Foto Andrea Zani

“Continuo, naturalmente, a seguire il Parma e ogni tanto vado a vederlo allo stadio. Fare paragoni con la squadra di Donadoni è brutto, si finirebbe per sminuire il valore del mio Parma. Va, però, detto che quello di oggi sta facendo bene e, con fortuna ma anche sagacia, può raggiungere dei buoni traguardi. Io, naturalmente, auguro il meglio.”

Nel passato di Scala, che ha svelato di essere stato molto vicino due anni fa a tornare ad allenare, non c’è solo il Parma: ci sono anche Borussia Dortmund e Shakhtar Donetsk, oggi nell’èlite del calcio continentale. Due fenomeni diversi che provengono da due paesi diversi, ma da cui l’Italia può imparare. “Dobbiamo fare tutti un passo indietro e tornare alla serietà di un tempo, che è mancata negli ultimi anni. Non parlo di scienza e tecnologia, no: dobbiamo migliorare nei rapporti. Perché in televisione, la domenica, vedo e sento cose inaccettabili.”

L’Italia che dominava l’Europa – ricordate la stagione 1994-95, con il Milan finalista di Champions League, la Sampdoria fuori dalla finalissima di Coppa delle Coppe ai rigori e il duello Juventus-Parma in Coppa Uefa? -, la Serie A delle ‘sette sorelle’. E poi il Parma che si allenava nel parco della Cittadella e vinceva più trofei internazionali che italiani. No, meglio chiudere l’album dei ricordi per non soffrire troppo di nostalgia.

Ascolta l’intervista a Nevio Scala

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ultimo aggiornamento: 26-11-2012


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