VIAREGGIO. Dici Medio Oriente e subito pensi ai sanguinosi conflitti tra Israele e Palestina, alle recenti cronache che raccontano di lanci di razzi, attacchi aerei e vite innocenti spezzate. Niente di più diverso dall’allegria e dalla spensieratezza del Carnevale. Eppure ci fu un momento in cui le strade di queste due realtà così agli antipodi si incrociarono.

È il 1995 e per alcuni carristi viareggini si spalancano le porte di un’esperienza professionale piuttosto insolita: sfilare in Israele per celebrare i tremila anni della città di Gerusalemme. Addirittura, già due anni prima il Corriere della Sera ha annunciato che gli artisti viareggini saranno il “pezzo forte” dei festeggiamenti.

Umberto Cinquini, uno dei carristi in missione a Gerusalemme, racconta che l’invito ai costruttori arriva anche grazie ai buoni rapporti tra la sinistra israeliana e quella italiana, di cui Paolo – per tutti Vincenzo – Lazzari è un simpatizzante. All’epoca i due fratelli Cinquini, Stefano e Umberto, lavorano in società proprio con “Pisello”: sono appena reduci dal trionfo in seconda categoria con “Carnivori”. Umberto, inoltre, parla perfettamente inglese. Due buoni motivi per portarli nella Città Santa. A loro si uniscono Roberto Alessandrini, impegnato nei carri di prima categoria, e i mascheratisti Giampiero Ghiselli e Alfredo Ricci. Danno il loro contributo anche gli Avanzini e Carlo Lombardi, che rimangono tuttavia a Viareggio.

Foto Umberto Cinquini

“Avevamo paura di non trovare il materiale occorrente laggiù e così modellature in creta e calchi in gesso furono fatti qua”, ricorda Alfredo Ricci. Lui e gli altri maghi della cartapesta hanno il compito di allestire quattro carri, di cui due dedicati a Viareggio e alla Toscana. Si comincia a lavorare già in estate e a metà agosto, a due mesi dal grande giorno, la delegazione di carristi vola in Israele.

Che il Carnevale viareggino sia un messaggero di pace i costruttori lo intuiscono al momento del loro arrivo: avranno a disposizione alcuni operai, di provenienza sia israeliana che palestinese. “Altro che guerra: lavoravano in armonia”, rammenta Umberto Cinquini. “In quei territori, il problema di fondo sono sempre stati gli oltranzisti.” Il ‘baraccone’ dove i costruttori viareggini devono ultimare i preparativi per la sfilata è un tendone situato sotto le gradinate del “Teddy Kollek”, lo stadio della squadra di calcio del Beitar intitolato allo storico sindaco di Gerusalemme. “Vicino allo stadio c’era un grande centro commerciale frequentato da moltissimi ragazzi”, prosegue Ricci nella sua narrazione. “Era come una città in miniatura, sembrava di stare in un film di fantascienza. Si potevano trovare ristoranti con piatti da ogni parte del mondo, ma spesso dovevamo accontentarci di un pasto veloce perché dovevamo lavorare.

“Un giorno, poi, ci trovammo nel mezzo di una sassaiola. Probabilmente erano due gruppi di persone che stavano litigando, non credo che ce l’avessero con noi. Fortunatamente non capitò nulla di grave. Ma caddero nelle nostre vicinanze delle pietre piuttosto grosse.”

Foto Umberto Cinquini

Si respira un’aria pesante, nell’Israele di quegli anni: poco prima dell’arrivo dei carristi sono infatti saltati in aria due autobus. Inevitabilmente, anche la parata dell’11 ottobre viene sottoposta a rigidissime misure di sicurezza. “Ricordo un caldo micidiale, oltre 40 gradi. Ma non potrò mai scordare i cecchini appostati sui tetti degli edifici lungo il percorso della sfilata”, confessa Cinquini. “Noi dovevamo obbedire alla polizia: erano loro a dirci quando avanzare con il carro, quando fermarci, a quale distanza sistemarci tra una costruzione e l’altra.”

Non mancano momenti di tensione: “Ad un certo punto, all’improvviso, mi ritrovai circondato da alcuni militari che mi stavano portando via di peso”, dice Ricci. “Probabilmente non avevo capito le loro indicazioni sulla distanza dal carro. Ma la questione fu risolta subito.”

Alla sfilata accorrono 250mila spettatori che ammirano la maestria degli artisti viareggini: piace il carro dedicato alla Toscana, con Leonardo da Vinci e Michelangelo e, sullo sfondo, la cupola del Brunelleschi e la Torre di Pisa. Ad attirare l’attenzione dei fotografi è soprattutto una statua del David che indossa un paio di boxer con la scritta “Souvenir d’Italia”. Poi passano una costruzione con una serie di animali in cartapesta e un’altra con personaggi storici di Gerusalemme. E infine c’è una grande torta con scritte in ebraico, alla cui sommità i carristi hanno sistemato un Burlamacco sorridente che abbraccia un leone, simbolo della Città Santa. Il giorno successivo numerosi quotidiani, sia in ebraico che in inglese, dedicano ampio spazio all’evento. E parlano di una sfilata spettacolare ma lenta, sfatando il mito che solo a Viareggio i corsi mascherati non brillano per velocità e fluidità.

Foto Umberto Cinquini

Nella tribuna d’onore trovano posto, in rappresentanza della città di Viareggio, il sindaco Marco Costa e il consigliere della Fondazione Carnevale Renato Baldi: al loro fianco siede il sindaco di Gerusalemme, e futuro primo ministro, Ehud Olmert. Poi c’è il Presidente di Israele Ezer Weizman. E soprattutto c’è il primo ministro, e Premio Nobel per la Pace, Yitzhak Rabin che stringe la mano a tutti gli “ambasciatori” viareggini. “Fu un momento emozionante, non fosse altro per quello che è successo dopo”, racconta Ricci. Il 4 novembre successivo, a Tel Aviv, Rabin viene infatti assassinato da un estremista ebreo.

Nel frattempo sono giunte in Israele anche le famiglie dei carristi: dopo le fatiche nel tendono è giunto il momento di rilassarsi. I cinque viareggini sperimentano la canoa lungo il Fiume Giordano, dormono in tenda, viaggiano sui dromedari e vivono in prima persona le festività dello Yom Kippur e dello Shabbat. Non devono scucire nemmeno una lira, anzi, uno shekel: sono trattati come ospiti. “Oltre a mia moglie c’era anche mio figlio Michele, che all’epoca aveva appena 4 anni”, aggiunge Cinquini. “Quando eravamo a Gerusalemme incontrammo il capo rabbino, un uomo dalla barba lunga con il copricapo ricoperto di pelo. Quando Michele lo vide esclamò: ‘Papà, quello è Babbo Natale!’.

Foto Umberto Cinquini

“Io sbiancai immediatamente, avevo paura di fare una figuretta. Di fianco a me c’era il vicesindaco Cassuto che parlava inglese e tradusse tutto al capo rabbino. Il quale scoppiò in una risata e abbracciò mio figlio.”

Sono passati oltre 15 anni e di quell’esperienza rimane un ricordo indelebile. La nostalgia, però, lascia presto il passo alla rabbia. “Quest’avventura potrebbe essere un preludio ad un gemellaggio tra la città del Carnevale e la città santa”, recitava la rivista ufficiale ‘Viareggio in maschera’ nel 1996. “Un connubio insolito tra sacro e profano che ci auspichiamo possa avere una storia lunga quanto quella di Gerusalemme.”

E invece, come tante altre iniziative similari, rimarrà un caso isolato.

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