VIAREGGIO. Chiedi di Mennea e i ricordi corrono all’indietro veloci, come le gambe del “ragazzo del Sud” alle Universiadi di Città del Messico quando, sotto una pioggia sottile, infranse il record del mondo o come quando, in quella notte del 1980 a Mosca, uscì dall’ottava corsia per andarsi a prendere l’oro alle Olimpiadi.

I ricordi sono quelli del viareggino Antonio Rosetti, ex campione di atletica leggera che, con il velocista di Barletta scomparso pochi giorni fa a causa di un male incurabile, ha trascorso gli anni dal 1979 e al 1986 a Formia tra impegni con la nazionale e allenamenti con la squadra di cui entrambi facevano parte, la Sisport Fiat Iveco.

“In questi giorni ho ripensato tanto a Pietro – racconta Rosetti – era un tipo riservato, molto retto e con un alto senso morale. Si sbilanciava poco e non faceva grandi complimenti, ma se riuscivi bene in qualche esercizio si fermava a guardarti”.

Rosetti e Mennea hanno condiviso lo stress pre-gara, la fatica degli allenamenti sotto la sapiente guida di Carlo Vittori, l’uomo che ha lanciato tanti campione dell’atletica e che li ha forgiati sottoponendoli a carichi di lavoro incredibili, ma anche le vittorie e le conquiste.

“Quando tornò a Formia dopo il record del mondo – continua Rosetti – gli chiesi che cosa avesse provato. La sua risposta fu chiara e coincisa. Disse che c’era da fare ancora tanto e che bisognava andare avanti”.

Già, Mennea, l’anti-Bolt, era così: stachanovista negli allenamenti, dotato di grande spirito di sacrificio con un’abnegazione alla fatica. “Per farvi capire com’era – prosegue Rosetti – racconto un aneddoto. Eravamo a Formia nel 1980 e Pietro doveva fare le ripetizioni da 150 metri per 15 volte. Vittori gli disse di farle in terzine (5 terzine da 150 metri). Era un allenamento faticosissimo. Alla quattordicesima ripetizione il mister disse che poteva bastare e si mise a scrivere i tempi sulla sua agenda. Pietro, stremato con le mani sulle ginocchia e con il filo di voce che gli rimaneva, fece notare che ancora ne mancava una. Da queste piccole cose si nota il senso del dovere, del lavoro che aveva e che lo contraddistinguerà sempre da tutti”.

Mennea non aveva le fibre né il fisico giusto per diventare un campione, ma aveva la testa, la pazienza certosina, lo spirito di sacrificio. Allenarsi, allenarsi, allenarsi era il suo credo, 350 giorni l’anno Pasqua e Natale compresi per andarsi a prendere quel record, per entrare nella leggenda.

“Pietro – continua Rosetti – mi ha fatto capire che l’essere veloci si può anche diventare con un lavoro mostruoso esplicato in ogni sua componente. Balzi, salite, pedane, allenamento con pesi, resistenza. A noi del gruppo velocità ci ha insegnato anche questo e proprio questo è, secondo me, un patrimonio che lascia come eredità a tutti noi”.

Antonio Rosetti, nel tempo libero, allena i ragazzi dell’atletica allo Stadio dei Pini e, tra scatti e ripetute, prenderà sempre ad esempio quel ragazzo del Sud che aveva conquistato il mondo.

Nella foto: Rosetti e Mennea  a Lisbona nel 1979 alla finale del Campionato Europeo Club vinto dalla Fiat Iveco.

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