VIAREGGIO. Se scrivo che a Milziade Caprili devo in qualche modo la mia vita, non credo di fare della retorica spicciola e forzata. Fu lui il 23 maggio 1981, quando era vicesindaco di Viareggio, a unire in matrimonio Riccardo Pierotti e Agnese Simi – i miei genitori. E di questo aneddoto sono venuto a conoscenza molto tempo dopo. Quando, cioè, conobbi più da vicino il “compagno Milziade”.

Il Carnevale si è appena concluso, io ho finalmente terminato i miei esami del corso di laurea triennale e mi accingo a scrivere la tesi. Poi, una mattina, mi arriva la telefonata della collega Donatella Francesconi del “Tirreno”: “Il senatore Caprili sta cercando un addetto stampa per la campagna elettorale delle amministrative e mi sei venuto in mente te. Te la senti?”. Mi prendo qualche ora per pensarci. Discuterò la tesi con due-tre mesi di ritardo, è vero. Però è altrettanto vero che questa esperienza potrebbe essere utile, formativa. Accetto. E mi presento alla sede del comitato elettorale dell’allora la Sinistra/l’Arcobaleno – già, nel 2008 si chiamava così – in via Fratti. Incontro Roberto Alessandrini, che già conosco per il suo passato da carrista. E poi stringo la mano a lui. Al senatore che sta per terminare il suo mandato, che ha deciso di candidarsi a sindaco. All’uomo che ha fatto sposare mamma e papà.

Se non vado errato, il mio primo giorno da addetto stampa fu l’8 marzo o giù di lì. Mi avvisarono all’ultimo minuto dell’incontro che aveva in programma alla Cia, davanti al commissariato di polizia, e io arrivai là, trafelato, beccandomi pure un cicchetto da lui per il lieve ritardo. Fu la prima tappa di un cammino che ancora oggi rivivo con un pizzico di nostalgia: seguivo quotidianamente Milziade in tutti i suoi appuntamenti, dalla mattina alla sera. Riusciva a farne anche quattro o cinque in un giorno: era inarrestabile. Incontrava chiunque, dagli operai della Sea alle insegnanti, dai lavoratori dei cantieri navali alle bidelle, dalle associazioni sportive a quelle di volontariato.

Spesso mi capitava di accompagnare Milziade in macchina. Parlavamo della campagna elettorale, manco a dirlo. Si confrontava, mi chiedeva addirittura consigli su quei pochi argomenti su cui non era particolarmente ferrato. Quando scendeva dalla macchina sbatteva sempre la portiera senza proferire verbo, con quei suoi modi di fare da orso. Era burbero, Milziade. Aveva un carattere spigoloso. Ma era anche un politico di altri tempi, uno che sapeva parlare alla gente. Sapeva ascoltare. Fu grazie a lui che conobbi molti problemi e tante sfaccettature della mia città fino a quel momento ignoti. E non è strano che molti militanti di Rifondazione Comunista lo descrivano come un maestro.

Come finirono quelle elezioni amministrative, poi, lo sappiamo tutti. Eppure con Milziade si era instaurato un bel rapporto. Ci siamo ritrovati tempo dopo per una triste vicenda: era il 29 giugno 2009 e non c’è bisogno di ricordare cosa accadde. Dopo una notte insonne, la prima cosa che feci la mattina seguente fu passare proprio dalla sede della Croce Verde e toccare con mano i danni causati dall’esplosione di poche ore prima. Quando tornai in redazione per raccontare le notizie che avevo raccolto, il caposervizio Fabrizio Brancoli decise di farmi seguire le vicende della Croce Verde. Ero stato il primo tra i miei colleghi ad andare lì. E poi sapeva che tra me e Milziade c’era stima reciproca. Per una settimana tornai ad essere la sua ombra.

Ci rivedemmo in un’altra luttuosa circostanza: era il 21 marzo 2011, all’indomani dell’ultimo corso di Carnevale. Mio padre non c’era più. La camera ardente fu allestita alla Croce Verde e anche il funerale si svolse lì. Milziade passò a trovarmi, a portarmi le sue condoglianze. Per lungo tempo non ci incontrammo: io, nel frattempo, ero andato a studiare all’estero. Mi salutò, quasi sorpreso, quando mi trovò a seguire il consiglio comunale sul regolamento urbanistico – ero appena rimpatriato -, quello che portò alle dimissioni di Lunardini.

L’ultima volta in cui io e Milziade ci siamo parlati è stata la domenica di un corso di Carnevale. Il secondo, se non erro. Girovagavo in bicicletta tra un carro e l’altro e me lo vidi spuntare. “Tienti pronto”, mi disse. “Se mi fanno incazzare, mi candido anche a queste elezioni. E voglio te come addetto stampa, visto che la scorsa volta abbiamo lavorato bene”. La storia ha preso un’altra direzione, purtroppo. Sembra quasi uno scherzo del destino che tu ci abbia lasciato proprio nel giorno in cui si sono concluse quelle elezioni che, chissà, ti avrebbero davvero potuto annoverare tra i protagonisti. E non avresti certo sfigurato, in mezzo a tanti politicanti improvvisati.

Per me è stato un onore e un grande privilegio lavorare al tuo fianco. Ti chiedo un ultimo favore: porta un abbraccio a mio papà. Ciao, Milziade.

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