VERSILIA. Nuovo appuntamento con FeliceMente, la rubrica di VersiliaToday dedicata alla mente e alla sua conoscenza, curata dalla dottoressa Valentina Aletti. Questa settimana l’articolo è firmato da Federica Piccinelli, psicologa, specializzanda in psicoterapia familiare e relazionale.

“In-dipendenza affettiva”: cominciare a pensare di prendersi cura di sé

Si può essere dipendenti da qualcuno da cui spesso si riceve ben poco ma si da e basta? Si può finire danneggiati da relazioni che vengono alimentate ma che non nutrono? Si può vivere finendo per non esistere più per se stessi? Si, si può, e significa essere vittime di una dipendenza affettiva.

La dipendenza affettiva è una forma “patologica” di amore caratterizzata da assenza di reciprocità nella vita sentimentale ed affettiva, in cui l’individuo “donatore d’amore” a senso unico, vede nel legame con un’altra persona, l’unico scopo della propria esistenza e il riempimento del proprio vuoto interiore. Non sempre la differenza tra amore e dipendenza affettiva è così netta. Può addirittura accadere che i due sentimenti si confondano.

È molto facile, nelle relazioni, scivolare nella dipendenza, questo spesso accade a causa di una instabilità interiore, data dal non essere centrati. Quando non si è centrati in noi si è in balia degli altri, del loro giudizio, delle loro decisioni.

Queste persone sollecitano quindi l’altro ad assumersi la responsabilità al loro posto, spesso si trovano in difficoltà ad esprimere disaccordo verso gli altri per paura di perdere supporto o approvazione. A causa della scarsa fiducia nelle proprie capacità, emerge una difficoltà a cominciare progetti o fare cose autonomamente; non è raro che la persona si offra per compiti spiacevoli pur di ottenere supporto e accudimento da altri… i vissuti che fanno da cornice a questo quadro sono il disagio e la paura, dietro le quali si cela un profondo senso di solitudine.

Tutto ciò prende forma a partire dall’estremo bisogno di sentirsi riconosciuti, dalla sete di vicinanza affettiva, dall’urgenza di ricevere conferme da parte degli altri: le radici di questo tipo di funzionamento spesso sono rintracciabili nelle prime esperienze relazionali che caratterizzano la storia familiare. Una storia di frequente organizzata intorno al “dover essere per gli altri” piuttosto che al concedersi di poter essere quello che semplicemente si è… ovvero se stessi.

Un percorso di psicoterapia sistemico-relazionale si presenta come un’occasione per approfondire l’osservazione delle proprie relazioni facilitando la comprensione del meccanismo che imprigiona e soffoca la libera espressione di sé.

“L’idea che gli altri vedevano in me uno che non ero io quale mi conoscevo, uno che essi soltanto potevano conoscere guardandomi da fuori con occhi che non erano i miei e che mi davano un aspetto destinato a restarmi sempre estraneo, pur essendo in me, quest’idea non mi diede più requie” (Luigi Pirandello)

 

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