VIAREGGIO. “Nei giorni scorsi è stata annunciata sui giornali l’apertura del Centro Diurno di Salute Mentale a Pietrasanta e si parlava di malumori per la possibile condivisione dei nuovi spazi con la Mensa dei Poveri: la struttura interessata era definita come Centro di Salute Mentale (Csm) e alcune volte Centro Diurno, come a noi risulta essere. Questa non chiara denominazione fa trapelare lo stato di fatto delle cose che come Forum Salute Mentale Versilia desideriamo offrire all’attenzione di tutti”. Lo scrive in una nota il Forum Salute Mentale della Versilia.

“Un Centro Diurno, nato con la chiusura dei manicomi, necessario per intrattenere persone fino ad allora istituzionalizzate, non può essere che un contenitore, luogo esclusivo e ghettizzante, apparentemente rassicurante per le famiglie che altro non hanno e altro non conoscono.

“Altra riflessione è la qualità degli ambienti ed edifici adibiti alla salute mentale: è possibile che in Versilia non ci sia una struttura accreditata come Csm, perché non ritenuta strutturalmente idonea a svolgere tale funzione? Questa domanda la rivolgiamo ai sindaci, a tutte le istituzioni per le quali dovrebbe essere urgente e prioritario costruire e garantire servizi della salute mentale integrati, che avversino l’isolamento delle persone, è nel territorio come comunità che si può creare percorsi di cura e intercettare bisogni. Il Csm deve essere il luogo dell’incontro, un luogo di cura che appartiene a tutti, di comunità e di accoglienza, perché la salute mentale è fatta di relazioni pratiche.

“E i poveri della mensa dove li infiliamo? Anche il vescovo è stato scomodato…non sarebbe stato meglio creare sinergie e progetti con chi la mensa la gestisce, con chi è proprietario di quegli spazi – la Croce Verde di Pietrasanta -, magari favorendo possibilità occupazionali per gli stessi utenti, per esempio l’inserimento nella mensa con tirocini lavorativi o come soci lavoratori?

“La crisi attuale aumenta la sofferenza e quindi cambia il tipo di risposta che il servizio deve dare: chi sono quei poveri, chi sono i senza tetto di oggi? Persone che probabilmente nella loro vita difficilmente incontreranno uno psichiatra e forse neppure un medico e non certo perché non ne hanno bisogno. Forse anche per loro avrebbe potuto essere un’opportunità. Alcune volte la contaminazione, se è gestita, pensata, progettata partecipata, può dare dei risultati interessanti.

“Gli operatori lo sanno bene, la domanda della cura è drammaticamente cambiata e la riabilitazione è necessariamente la capacità di andare oltre la struttura. Se con la crisi aumenta la sofferenza, è anche vero che calano gli operatori, il personale è ridotto e ancor di più i nostri servizi non possono sostenere un modello assistenziale, la situazione rischia d’essere implosiva. Invece di continuare a pensare dove si mettono le persone, con battibecchi non proprio qualificanti su ‘poveri sì e poveri no’, pensiamo a progetti di emancipazione e d’inclusione sociale. Se interveniamo dove le persone vivono, la coordinazione e collaborazione tra le varie realtà dell’associazionismo diventa vincente. Vincente anche per poter contrastare scelte scellerate, come quelle compiute a Viareggio, dove a causa del dissesto, si chiude il Servizio di Sportello per cittadini non comunitari, svolto dalla cooperativa C.Re.A., si chiude come se fosse un lusso.

“Il lavoro riabilitativo è continuo, nasce nel momento in cui la persona inizia a stare male, ma da noi di continuo c’è solo ‘l’infinito intrattenimento degli improduttivi’ per dirla con Benedetto Saraceno. Tirocini lavorativi senza garanzie di stabilità e di tutela, sistemi di ‘premio-punizione’ per cui se l’utente si comporterà bene potrà avere una chance di continuare il suo percorso protetto, se avrà una crisi o si comporterà male, perderà ogni possibilità di accesso futuro al lavoro. Tanti esiti infausti che non dipendono dalla cattiva predisposizione del singolo operatore, ma da una mancata riflessione complessiva di tutto il servizio con le varie committenze sociali, sulle contraddizioni che la stessa crisi ci impone. Quanto costa una persona assistita e quanto è produttiva una persona che lavora? Quante Cooperative di tipo B con utenti della Salute Mentale inseriti, abbiamo in Versilia? A noi non risultano.

“Lo spazio isolato del Centro Diurno potrebbe diventare luogo d’impresa sociale o, come nel caso della struttura a Viareggio, sede del Csm e luogo di centri sociali. La domanda della cura è cambiata e la riabilitazione oggi è la capacità di andare oltre le strutture.

“Ci siamo sempre battuti per il superamento della divisione tra due unità operative – Inclusione Sociale e Psichiatria – come se fosse possibile nella riabilitazione un prima e un dopo, chi pensa così non crede nella possibilità di una ripresa. Il Dipartimento Salute Mentale e Dipendenze si è dotato di un gruppo sull’Inclusione Sociale: noi ci auguriamo che non si risolva in una delega, ma possa essere strumento, incipit fondamentale al lavoro di equipe. La persona con l’esordio della malattia si sente spogliata della sua identità e da subito ha bisogno di essere aiutata a riconoscere i suoi diritti di cittadinanza.

“Le case, l’abitare, il lavoro, quello reale con una paga reale, sono riabilitazione e non strumenti di riabilitazione. Il lavoro è anche lo sforzo di uscire dall’inerzia e la risposta non può essere l’inserimento individuale, ma quello collettivo dell’impresa, della cooperazione.

“La Recovery non è guarigione, è riprendersi la vita. Come mai in Versilia la voce degli utenti non c’è: pochi tentativi gestiti dagli operatori o, se autonomi, puniti e quindi fatti morire. Eppure la loro voce da noi arriva ed è una voce di consapevolezze, di desideri, di bisogni, anche se tutto molto sopito perché fortemente istituzionalizzato. Questa voce deve trovare espressione dentro il contratto sociale.

“Tutto questo ci piacerebbe fosse impegno quotidiano di confronto e partecipazione, possibilità di costruire nuovi percorsi di inclusione sociale e immaginare modalità diverse di rapporto tra le persone, fuori dalla delega e dalla tutela del tecnico.

“L’appello che lanciamo è a tutte e tutti, cittadine e cittadini, siano essi operatori di cui conosciamo la fatica a districarsi nel quotidiano, nuovi dirigenti dei quali apprezziamo il mettersi in gioco con l’impegno finalmente alla trasparenza e all’accessibilità, lo rivolgiamo ai familiari e utenti troppo spesso schiacciati da desideri inattesi, a tutte le associazioni e gruppi, centri sociali e imprese cooperative, alle associazioni della salute mentale che come noi non si arrendono difronte ai troppo frequenti muri di gomma, perché solo insieme è possibile, ma lo diciamo per primi a quei politici rinchiusi nelle loro stanze, perché anche per loro la salute mentale possa essere materia di vero studio e quindi di buone pratiche.

“Su tutto questo ci piacerebbe avviare una ricerca condivisa che promuova dialogo, partecipazione, educazione, divulgazione”.

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