A sette anni dalla strage del 29 giugno ognuno, a suo modo, vuole lasciare un pensiero, un contributo, un segno per non dimenticare. Filippo Giannecchini ha voluto condividere con noi e con tutti i lettori il suo ricordo di quella terribile notte, con l’intento di poter contribuire a tener viva l’attenzione su un evento che ha colpito duramente la città e per il quale spera che tutti i viareggini (e non solo) non smettano mai di chiedere giustizia e verità.

“Dicono che quando muore un bambino il lutto è comune a tutte le madre e i padri del mondo.

Ne morirono tanti, anzi troppi di bambini in quella maledetta sera di giugno. Strappati ai loro letti, ai loro giochi, alle loro famiglie, in una tranquilla serata di inizio estate. Un ammasso di ferro e lamiere, gas e fuoco, violò l’intimità delle loro case come il più abile dei ladri, portandosi via il più prezioso dei beni: la vita.

Sono passati tanti anni dalla notte della strage, ma tanti particolari sono ancora ben presenti davanti ai miei occhi: la telefonata con la nonna e la sua incapacità di nascondere la propria paura dietro le mille raccomandazioni a non muovermi da casa, che tanto “era tutto apposto, sarà stato qualcosa alla stazione, ma lascia perdere”; il terrore, che durante la corsa a tutta velocità verso via Puccini, serrava gli occhi della gente, ancor più della fuliggine che volava copiosa per tutte le strade; il nonno, in mutande davanti alla porta d’ingresso, spogliato di ogni sicurezza conquistata in oltre cinquant’anni di vita vissuta, immobilizzato dalla ferrea volontà a non rimettere assolutamente piede in casa, la propria casa.

Poi le fiamme, che si levavano altissime dai tetti delle case di là dalla ferrovia, ad un palmo di naso dalla finestra di quella che era stata la mia cameretta: la mia stanza dei giochi, la mia finestra sul mondo fuori, quella sulla quale da piccolo passavo ore accovacciato sul davanzale a fantasticare luoghi lontani e giorni ignoti, spinto dalla voce metallica dell’altoparlante della stazione.

L’incubo dello sfollamento: atteso, rimandato più volte, alla fine quasi auspicato. Quanto è stato incredibilmente facile portar via i nonni dai loro averi, dalla loro vita: potenza del dramma e della devastazione esplosa all’improvviso ad un passo dal loro luogo sicuro per eccellenza.

E il giorno dopo la “conta dei vivi”, perché dopo una notte così era già una conquista essere “non morto”: una giornata intera che io e la mamma abbiamo trascorso con gli occhi sbarrati, non per la notte trascorsa praticamente in bianco, quanto piuttosto per la spasmodica ricerca di un profilo o una voce conosciuta per poterli inserire nella lista dei “non morti”.

Infine il dramma dei bambini, le vittime più piante di quella schifosa strage. Perché quando muore un bambino, il lutto è comune a tutte le madri e i padri del mondo. Che sacrosanta verità. Quei giorni non capivo: i morti sono tutti uguali, pensavo, non hanno nome, sesso, età. No, un figlio è il definitivo completamento della vita di ogni persona, e quando quel tassello viene meno la vita perde di significato. E il tassello si fa ancora più grande, tanto più breve è stata la permanenza sulla terra, tanto più imbattibile e imprevedibile è stato il male che te lo ha portato via, quel prezioso tassello.

Quei giorni non capivo, ma ora che sto aspettando freneticamente il momento in cui vedrò i tuoi occhi, assaggerò la tua pelle e ascolterò la tua voce, tutto si è fatto più chiaro.

Perché quando nasce un bambino, la gioia è comune a tutte le madri e i padri del mondo”.

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29 giugno filippo giannecchini ricordo strage viareggio

ultimo aggiornamento: 29-06-2016


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