Tre mesi fa nessuno si sarebbe azzardato a sbandierare ai quattro venti convinzioni di “triplete” che in quel periodo sarebbero state frutto di purissima fantasia, oggi oltrepassata dalla realtà. Avviene raramente per questo fa impressione e resta scolpito negli occhi e nella mente di chi questo immenso capolavoro sportivo lo ha vissuto accompagnando passo dopo passo tutti i protagonisti. Ma come è riuscito il Viareggio a chiudere il cerchio, aggiungendo lo scudetto alla Euro Winners Cup e alla Coppa Italia? I fattori sono molteplici, tutti ad altissimo tasso di rilevanza. Combinati, hanno reso quella di Santini un’armata pressoché invincibile. La società ha pensato in grande. Da subito. Per questo al gruppo dei viareggini ha abbinato pochi, ma decisivi stranieri. Non ordinari, ma giocatori di spessore, capaci di inserirsi rapidamente in meccanismi già oliati e di portare in dote alla squadra quell’esperienza che negli anni scorsi era mancata, con inevitabili conseguenze negative (vedi i ko nelle finali scudetto del 2012 e del 2015 col Terracina). Uno su tutti: Ozu Moreira, il pilastro difensivo di cui Santini aveva bisogno per consentire a Ramacciotti di dare libero sfogo ai suoi (tanti) cavalli. Il nippo-brasiliano si è presentato senza quella spocchia che solitamente appartiene a chi, come lui, è abituato a giocare per vincere. Sempre. “Ancor più della sua bravura, ci ha colpito la sua umiltà”, hanno ripetuto in coro i bianconeri dopo i trionfi del periodo maggio-giugno. Non solo Ozu. Anche François (in Coppa Italia) e Torres (in campionato). Tutti innesti che hanno rafforzato il reparto arretrato, lo hanno reso inespugnabile. Il resto lo ha fatto Andrea Carpita, mai così decisivo come quest’anno. Parate tanto spettacolari quanto decisive. Della costanza di rendimento e della duttilità di Ramacciotti il Viareggio non può mai fare a meno, come dell’intelligenza di Marinai, il suo capitano. Le rovesciate di Valenti sono sempre una delizia per gli occhi degli spettatori. Negli stadi, come davanti alle tv e ai pc. Per Gori, poi, ogni aggettivo è stato ripetuto sino all’abuso. Gol a grappoli, molti provvidenziali. È – per distacco – il miglior attaccante italiano, uno dei più forti al mondo. Chi ha qualcosa da obiettare, ripassi i suoi record. Ma la vera svolta è stata mentale. E qui il merito è di Stefano Santini. Che dopo delusioni in serie e coppe sfuggite di mano ha mutato il suo approccio.Ha messo da parte l’istinto, lasciando che fosse la ragione a guidarlo. Voleva soltanto ragazzi che credessero ciecamente nel suo lavoro e nelle sue idee, che si affidassero a lui per smetterla di vedere gli avversari alzare trofei al cielo. Con loro – e con uno staff competente e appassionato – ha costruito le fondamenta di un triplete che consegna il Viareggio alla leggenda. 

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ultimo aggiornamento: 07-08-2016


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