L’aborto in Italia non è reato. Non lo è più da 41 anni, da quando, nel maggio del 1978, vennero abrogati gli articoli 545, e seguenti, del codice penale e fu approvata la legge 194. Una conquista per le donne, con battaglie in piazza di femministe e Partito Radicale, che ha portato al diritto di decidere sul proprio corpo.

Ma, oggi, abortire, con un numero sempre più elevato di obiettori di coscienza, sembra essere diventata un’impresa titanica.  Se in alcuni ospedali italiani è quasi impossibile, all’ospedale “Versilia”, va “meglio”: su un organico di 18 medici ginecologi, sono due ( comunque pochi ) quelli che praticano l’interruzione di gravidanza.

Tre i tipi di intervento.

L’Ivg, interruzione volontaria chirurgica, in anestesia, locale o generale, comunque in forma di day hospital,  consentita dalla legge italiana entro e non oltre i primi 90 giorni di gestazione (cioè dal primo giorno dell’ultima mestruazione), che corrisponde in termini ecografici a 12 settimane e 6 giorni.

L’aborto farmacologico, possibile dal 2009, con l’introduzione della pillola RU486, entro i primi 49 giorni di gestazione, da effettuare, secondo quanto raccomandato dal Consiglio Superiore di Sanità, in regime di ricovero ordinario, ma che in tutta la Toscana, ospedale “Versilia” incluso, avviene in regime di day hospital.

L’aborto terapeutico, Itg, praticabile fino al 180mo giorno dal concepimento e solo in due casi: quando la gravidanza e il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna e quando siano presenti processi patologici, compresi quelli relativi a malformazioni o malattie del nascituro, che determinano un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna. Non si interrompe, quindi, una gravidanza perché il feto è malato, o malformato – questa serebbe eugenetica – ma perché la sua nascita comporterebbe ripercussioni negative sulla madre, mettendone a grave rischio il suo equilibrio, anche mentale. E, a certificare sia il pericolo per la vita della gestante,  che le ripercussioni in caso di nascita di un bimbo con malformazioni, è il medico preposto. Con rischio, per il professionista, di denunce per falso in atto pubblico ( la Giurisprudenza conta casi anche in Toscana ).

“All’ospedale Versilia la media delle Ivg chirurgiche è di 3/ 4 alla settimana – ci spiega il dottor Alessandro Stefani, uno dei due medici  del nosocomio di Lido di Camaiore che, insieme al collega Massimo Ciaponi, non è obiettore di coscienza. Le medie di aborti farmacologici e terapeutici, invece, si attestano, rispettivamente, a 1 alla settimana e 1 al mese”.

“Sono in aumento gli aborti clandestini” – aggiunge il ginecologo.  Un fatto allarmante, che ci riporta indietro nel tempo, quando le donne rischiavano la vita, con ferri da calza arrugginiti o infusi a base di prezzemolo. La “mammana” 2.0 arriva da internet, dove si possono facilmente acquistare le pillole per abortire che altro non sono che medicinali contro il mal di stomaco: il Cytotec, farmaco contro l’ulcera – venduto anche in farmacia, dietro, però, prescrizione medica – che nel caso di gravidanza provoca, a distanza di poche ore, contrazioni uterine, ma che può portare anche a conseguenze molto gravi, dalle emorragie forti alla morte.

Il problema dell’obiezione di coscienza, comunque, è ben più grande di quanto si possa immaginare, visto che per sottoporsi a un aborto, almeno nel caso di quello chirurgico, non c’è bisogno solo di un medico ma anche di un anestesista, un ferrista ed un infermiere che non siano obiettori di coscienza. In tutta la Toscana, da quando è andato in pensione il primario di Pontedera, circa 8 mesi fa, non esiste un reparto ginecologico che abbia un primario abortista. E nei loro team la maggioranza sono tutti obiettori. Basti pensare che chi fa diagnosi prenatali all’ospedale “Versilia, come il bitest, la morfologica o l’amniocentesi, sono tutti obiettori di coscienza.

“La legge 194 va cambiata – conclude il dottor Stefani -, chi la difende a spada tratta non la conosce a fondo. L’attuale normativa è ambigua, fatta da “preti” ( l’allora governo democristiano, ndr ), e addossa ai medici non obiettori troppa responsabilità, da qui il motivo dei pochi ginecologi che oggi praticano gli aborti”. Nella maggior parte dei Paesi europei l’aborto è consentito su richiesta della gestante senza restrizioni se non quelle imposte dalle settimane di gravidanza ed eventualmente dall’autorizzazione dei genitori nel caso di minorenni. E la responsabilità non è del medico.

 

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