Freddato sotto casa con 15 colpi di pistola: ergastolo confermato oggi in Corte d’Appello a Firenze per Roberto Romanini.

Stessa condanna di primo grado per il cugino di Stefano Romanini che venne ucciso a sangue freddo con 15 colpi di pistola esplosi sotto la sua abitazione a Camaiore da un killer, rimasto ignoto.

Fu un agguato in piena regola, una vera e propria esecuzione. L’omicida, incappucciato e armato, lo aveva aspettato sotto casa e quando l’imprenditore era uscito per dirigersi alla sua auto, una Golf grigia parcheggiata di fronte, iniziò a sparare: per Stefano Romanini, all’epoca 46 anni, non ci fu niente da fare. Colpito dai numerosi proiettili esplosi a distanza ravvicinata dal suo assassino, l’uomo si era accasciato in terra in una pozza di sangue ed era morto poco dopo il suo arrivo all’Ospedale Unico “Versilia”. Fu un’alba di sangue quella dell’8 febbraio 2011 nella centralissima via Battisti,  di fronte al noto ristorante Il Centro Storico. L’imprenditore, titolare di una ditta di escavazioni, la Serena Scavi, ex Escavazioni di Stefano Romanini, sposato con Giuliana Pellegrini, casalinga, e padre di due ragazze, Serena e Stella, era uscito per andare a lavorare, come ogni mattina, ignaro che ad aspettarlo sulla strada ci fosse il suo carnefice: alto, magro, vestito di nero, cappuccio in testa e in pugno una pistola calibro 9. Mai trovato. La prima persona a dare l’allarme fu la moglie di Romanini, che sentendo i colpi di pistola si era affacciata alla finestra e aveva visto il killer fuggire a piedi imboccando via Fonda per poi dileguarsi senza lasciare traccia. La donna, sotto choc, era scesa in strada dal marito che agonizzava a terra: “Mi sento affogare”, furono le uniche e ultime parole dell’uomo colpito a morte dai proiettili. Nonostante il tempestivo intervento di un’ambulanza del 118 che lo aveva trasportato immediatamente al Pronto Soccorso, Stefano Romanini morì poco dopo il suo arrivo al nosocomio versiliese. Sul posto le volanti del Commissariato di Polizia di Viareggio, all’epoca diretto da Leopoldo Laricchia, a cui furono affidate le indagini, i reparti della Scientifica che avevano eseguito i primi rilievi balistici, e la Squadra Mobile da Lucca, con l’allora dirigente Virgilio Russo. L’auto di Romanini, dietro alla quale la vittima aveva cercato di trovare riparo dalla furia omicida del suo assassimo, era stata completamente crivellata dagli spari. Furono esattamente quindici i colpi di pistola esplosi dal killer. Una storia agghiacciante, con una indagine lunga oltre 2 anni, approdata, il 9 maggio 2014, con la richiesta, formulata dal Pubblico Ministero Fabio Origlio, di rinvio a giudizio del cugino della vittima, Roberto Romanini, accusato dalla Procura di omicidio premeditato, nelle vesti di mandante, e porto abusivo di armi. Poi un processo iniziato, con una prima udienza, e annullato, e un nuovo procedimento.

La svolta nell’indagine era avvenuta nel febbraio dell’anno successivo al delitto, quando si era strinto il cerchio sul giallo. Il sicario, ad oggi, è rimasto ignoto.

“Tanti ti chiedono se la vita va avanti, se lavori, se hai una casa e una famiglia, ma nessuno ti chiede se sei felice! Noi con te avevamo la vita, una famiglia e una casa….ed eravamo felici – commenta la figlia della vittima dell’agguato, Stella Romanini: “Adesso siamo felici per sopravvivenza! Comunque sia, giustizia è stata fatta! Spero tu possa riposare in pace papà! Ci vedremo in un altra vita”

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