Nei giorni in cui l’emergenza sanitaria sembra rallentare il contagio, le comunità e i governi locali si trovano ad affrontare le conseguenze delle misure di distanziamento sociale, che hanno privato del reddito migliaia di lavoratori soprattutto nei settori che generavano valore proprio attraverso la socialità e la compresenza delle persone.
E’ in corso una radicale ridefinizione degli spazi di azione e delle prospettive di sopravvivenza di interi comparti economici e categorie sociali: la portata di questi passaggi mette a rischio non solo l’assetto del sistema produttivo ma anche la tenuta degli equilibri sociali e politici.
C’è chi teorizza in epoca di pandemia la ricomposizione tra classi sociali. Così non è: anzi la faglia è destinata ad allargarsi sempre di più e noi sindaci ne abbiamo esempi evidenti sui territori che amministriamo. Lo sperimentiamo nel presente con le accresciute disparità all’interno del mercato del lavoro, con una cittadinanza che torna ad essere stratificata e interi segmenti esposti alla malattia. Lo sconteremo nel futuro quando i ragazzi di oggi privati degli stimoli di una scuola che fatica ad arrivare nelle famiglie, ma anche degli strumenti pratici per accedere alla conoscenza, passeranno dalla trappola della povertà educativa a quella della povertà materiale.
Il diffondersi dell’impoverimento e l’acuirsi delle disuguaglianze, rischia di mettere a rischio anche la tenuta sociale e democratica del Paese.
Abbiamo di fronte mesi cruciali nei quali dobbiamo assolutamente gestire l’emergenza con una prospettiva di medio e lungo periodo: è necessario elaborare una strategia che sia capace di dare risposte universali e di sistema alla domanda immediata di chi ha perso il reddito.
Il welfare nel suo complesso va ripensato: il Governo nazionale ha fatto molto, ma deve fare di più.
Le misure messe in campo con il DPCM “Cura Italia” costituiscono una risposta seria e organica sul fronte della difesa del reddito dei lavoratori dipendenti e dei professionisti, garantendo un’immissione di liquidità importante a difesa diretta e indiretta dei bilanci familiari di un ampio numero di famiglie.
Tuttavia queste misure non sono abbastanza intense e non abbastanza diffuse per costituire quel livello essenziale di assistenza di cui hanno assoluto bisogno le categorie prive della copertura dei tradizionali ammortizzatori sociali.
Analogamente, i finanziamenti arrivati ai Comuni hanno dato una boccata d’ossigeno agli interventi di emergenza che sono stati da subito attivati dai servizi sociali e dalla protezione civile in collaborazione con gli enti di terzo settore. Ma la loro limitatezza li rende tuttavia insostenibili oltre il primo ed immediato periodo.
Le Amministrazioni locali non hanno né competenza né strumenti per contribuire in maniera autonoma alle misure governative di difesa universale dei redditi e, nel caso in cui fossero investiti di questo compito, lo potrebbero fare in modo poco efficace, intempestivo ed accentuando le disparità territoriali e categoriali.
Chiedo quindi di mettere quanto prima in campo un’azione di sistema, che dia tempestiva e universale risposta alle famiglie ed ai lavoratori colpiti dalla pandemia e che soprattutto prevenga disastrosi allargamenti della crisi in atto attraverso due interventi: l’immediato rinnovo del finanziamento per i buoni alimentari, per dare risorse all’azione di contrasto della povertà alimentare positivamente attivata in queste settimane dai Comuni, e la tempestiva messa in campo di misure nazionali per il sostegno emergenziale del reddito e dei consumi quali il SEA (Sostegno di Emergenza per il Lavoro Autonomo) e il REA (Reddito di Cittadinanza per l’Emergenza).
E poi l’attacco alle rendite come strategia per rilanciare il lavoro e le energie del paese, a partire dai piccoli imprenditori: servono misure strutturali, serve una riforma forte sia nazionale che locale sui tributi.
Evitando l’impoverimento delle persone e l’acuirsi delle disuguaglianze, si evita il collasso del sistema Italia.
 
 
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ultimo aggiornamento: 18-04-2020


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