di Francesca Cecconi

Monica Guerritore non ha bisogno di presentazioni: grande attrice e artista del panorama teatrale italiano che, nelle ultime settimane, è stata al centro delle notizie legate al futuro del teatro nell’era del post- Covid per alcune sue particolari proposte. Infatti, non sono state poche le polemiche scaturite intorno all’invito a rappresentare il mondo del teatro all’interno del confronto, tenutosi a Villa Pamphilj con il premier Giuseppe Conte per gli Stati generali dell’economia, sul dibattito dedicato ai settori della cultura e dello spettacolo. Troviamo quindi molto interessante la possibilità di intervistarla durante un mattino estivo di agosto, nella bella cornice della pineta della Fondazione Versiliana, dove sarà protagonista di un incontro all’interno del Caffè condotto da Claudio Sottili (giovedì 6 agosto ore 18.30) e dello spettacolo Dall’Inferno all’Infinito (domenica 9 agosto ore 21.30) inserito nel cartellone teatrale del 41° Festival La Versiliana curato da Massimo Martini.

Partiamo dallo spettacolo che andrà a rappresentare questa domenica sul palco della Versiliana, un palco che lei conosce molto bene e di cui potremmo dire esserne una habitué, dal titolo Dall’Inferno all’Infinito, che ci porta immediatamente alla memoria da un lato Dante e dall’altro Leopardi. Ci può dire qualcosa di più? Cosa dobbiamo aspettarci?

Diciamo che io parto da una analisi sulla parola e sul significato ideato dagli autori. Si tratta di un approccio psicoanalitico e psicologico, che ha a che fare con la natura umana.

La notte tra il 7 e l’8 aprile del Trecento, Dante si siede e comincia a scrivere [n.d.r. recitando] «nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura». Un capolavoro come la Divina Commedia ha mille possibilità di interpretazione da quelle storiche, come la lotta tra i guelfi e i ghibellini, a quelle allegoriche, però mi sembra che l’elemento nodale sia che si tratti del primo grande viaggio nell’inconscio. Io sono una appassionata lettrice di James Hillman, uno psicanalista archetipo e la sua lettura mi ha influenzato. Dante, entrando in un luogo sconosciuto, ha paura – infatti ripeterà questa parola per ben sei volte – incontra tre fiere che sono i predatori della psiche, cioè quelle figure che, immediatamente, bloccano il passo quando si vuole intraprendere il cammino verso luoghi sconosciuti. Il luogo sconosciuto può essere un’opera, un amore, un andar via di casa. Non è il fatto in sé ma l’emozione che c’è dietro: il significante psicologico.

 A questo punto entra in scena Virgilio – il maestro di Dante, il suo super Io – che, non importa neppure lo nomini, il pubblico già riconosce. A quel punto si ha l’avvio del viaggio nell’Inferno con l’amore carnale di Paolo e Francesca e l’amore paterno del Conte Ugolino. C’è un’altra madre che divora il corpo del proprio figlio, ed è la madre di Pasolini nella struggente Supplica a mia madre [n.d.r. recitando]: «Perché l’anima è in te, sei tu, ma tu sei mia madre e il tuo amore è la mia schiavitù». Si passa, poi, alla madre di Elsa Morante, l’amore sconciato della Valduga, Emma Bovary…

È come se io e il pubblico, anche attraverso la musica, stiamo bene, facciamo un viaggio che lentamente ci porta verso l’infinito. È il momento in cui cominci a navigare e a prendere consapevolezza di tutto quello che Jung chiama piccolo popolo. Da lì, in solitudine, si entra nell’Infinito di Leopardi e [n.d.r. recitando] «Così tra questa infinità s’annega il pensier mio: e il naufragar m’è dolce in questo mare».

Questo è il viaggio.

Lei ha parlato di parola, che nei suoi spettacoli è molto presente – mi viene in mente lo spettacolo Mi chiedete di parlare su Oriana Fallaci, che tra l’altro era venuto anche al Teatro Comunale di Pietrasanta nel 2013 – possiamo definire questo termine come il fil rouge del suo percorso artistico?

Non la parola da sola. Mai. La forma d’arte si forma tra due dinamiche: una è la logica, la parola, il logos e l’altra è la sensorialità, che accompagna e sostiene e che puoi identificare come un elemento emotivo primitivo semplice e questo te lo porta la musica. Grazie a Franco Martini e Giancarlo Sepe ho imparato questa tecnica in cui si unisce il movimento con la musica e poi la parola. Al pubblico non arriva solo la parola ma l’insieme dello stato d’animo, che nasce dall’unione tra parola, movimento e musica. Bisogna diffidare dagli attori che arrivano e leggono, perché non ce la fai a seguire, bisogna che si impegnino in maniera più compiuta…

Durante l’incontro a Villa Pamphilj, tra le idee di proposta per una ripresa del teatro che lei ha avanzato c’è quella di portare il teatro in televisione, più che portare mi viene da dire ri-portare in quanto abbiamo avuto – nel passato – anni fiorenti con notevoli messinscene, alludo alle commedie di Eduardo…

Sì, ma non è quello.

Quindi qual è la parte innovativa che lei vorrebbe portare dal teatro alla televisione e, soprattutto, come vuole avvicinare il nuovo pubblico che – sinceramente – davanti alla televisione ci sta poco?

Davanti alla televisione il pubblico sta molto tempo. Sta davanti alle piattaforme che offrono racconti che piacciono di più rispetto a quelli proposti dalla televisione italiana, che interessano una fascia di pubblico un po’ stanca. Questo perché le piattaforme hanno riportato il teatro in televisione, quello che faceva una volta la tv italiana sotto il nome di sceneggiati. Adesso si chiama “lunga serialità” e sono le serie televisive e nascono con Zola, Dostoevskij e con gli scrittori che scrivevano a puntate proprio perché, attraverso il racconto a episodi, c’è la possibilità di approfondire. Quindi è qualche cosa che ha a che fare con il teatro. Il teatro è il racconto di un essere umano, che può essere fatto in forma teatrale, in forma cinematografica e in forma televisiva. Due esempi molto chiari sono il Tito Andronico, come spunto del Trono di Spade e il Macbeth, che invece di stare in un castello scozzese sta alla Casa Bianca, ed è rappresentato da Kevin Spacey e Robin Wright in House of Cards. Quando io parlo di racconti teatrali, non parlo di riprendere la cornice teatrale con la platea e il sipario rosso, parlo del testo.

Quindi, lei intende prendere il testo teatrale e inserirlo in maniera totalmente diversa in un altro contesto, ma così non si distacca dal teatro diventando delle serie tv?

Adattamento. Può essere fatto in due ore, in sei ore, in dodici ore. È un adattamento. E questo permetterebbe di far lavorare una serie di sceneggiatori e adattatori. Il problema del cinema italiano è che noi abbiamo solo i dialoghisti, mentre ciò che servirebbe è il drammaturgo, quello che scrive il dramma. Questo permetterebbe una riscoperta dei classici, dei grandi racconti, dei grandi letterati come Shakespeare.

A tutto questo, va aggiunto il metodo teatrale. Per realizzare uno spettacolo teatrale, che non porta nessun riscontro economico, abbiamo un mese di prove, mentre per uno sceneggiato tv o un film non si fa neppure una prova e ti chiamano due giorni prima per girare e, in questo caso, il riscontro economico è molto alto. Questo è il motivo per cui il cinema italiano e le produzioni televisive italiane non funzionano. In teatro, lavorando un mese su uno spettacolo, abbiamo la possibilità di approfondire e andare sotto la superficie, riuscendo a raccontare e trasmettere qualcosa al pubblico.  In America, dove hanno il teatro come metodo, la tv funziona diversamente, per cui quando Claire Danes fa Homeland non fa quello che fa così perché ha avuto l’ispirazione durante la notte ma perché ha provato tutta la serie per un mese, prima di andare a girarla.

È un approccio totalmente diverso…

È un approccio teatrale unito a un adattamento cinematografico con l’uso di maestranze e collaboratori artistici provenienti dal monto teatrale che, se mi permetti, non devono essere rinchiusi in carcere o in una riserva indiana. Ci sono una miriade di talenti. Questa è la mia prossima battaglia insieme alla scuola con la speranza di poter offrire le sale teatrali oggi chiuse.

Proprio legato al tema della scuola e alla sua proposta di utilizzare gli attori, attualmente fermi a causa del Covid, come accompagnatori didattici per analisi del testo e letture ad alta voce, c’è stata un po’ di polemica su più fronti. Da un lato, i docenti si sono sentiti sottratti delle loro capacità didattiche sull’analisi del testo; dall’altro, le piccole realtà che ogni anno si rapportano con le scuole con POF, progetti collaterali – che sostengono la propria esistenza con queste attività –  non avrebbero piacere di trovare nel proprio ambito gli attori trasferiti dalle tournée; e infine, gli altri lavoratori dello spettacolo, perché dietro a un allestimento ci sono anche gli amministrativi, i tecnici, gli uffici stampa e non solo gli attori.

La soluzione sono i teatri aperti al mattino. Le persone che lavorano nei teatri possono lavorare e ricevere il loro stipendio, ovviamente deve intervenire il MIBACT. C’è un protocollo MIBACT -MIUR ma dobbiamo ancora lavorare in tal senso. I teatri aperti servono proprio per garantire lavoro anche alle persone impiegate nei teatri. Mentre le piccole realtà di cui parli sono proprio le destinatarie dell’accompagnamento alla didattica, ma devono iscriversi al RAAI, il Registro Attori Attrici Italiani. Serve proprio come un accordo di mutuo soccorso: noi vi diamo il teatro, voi chiamate 2-3 attori in modo che possano guadagnare qualche cosa, ovviamente serve un contributo del MIBACT e del MIUR. Quindi, una scuola che vuole fare una tragedia greca chiama gli attori presenti nel Registro, che non sono attori famosi, ovviamente, un attore famoso non deve andare là. Serve proprio perché, in questo momento in Italia, c’è bisogno di questi vasi comunicanti. Per andare avanti. Altrimenti non si va avanti.

Così come le riprese di molti spettacoli in tv con un adattamento potrebbero dare linfa a quelle compagnie sul territorio, che sono tante e fanno, a volte, dei lavori molto interessanti. Basterebbe avere una sinergia tra service, studio e canale televisivo che per un’ora di ripresa ti dà 15-20.000 euro per proporre il tuo lavoro. Questo può essere fatto in Toscana, in Emilia, ovunque. Ci sono tante realtà ma bisogna parlarne per smuovere qualcosa. Parlandone, parlandone e parlandone forse davvero qualcosa riusciamo a cambiare.

Ci sembra giusto e doveroso parlarne, sperando che possano cambiare presto le sorti sia del teatro che della scuola. Nel frattempo, ringraziamo Monica Guerritore e ricordiamo il doppio appuntamento alla Versiliana con l’incontro al Cafè di giovedì 6 agosto (ore 18.30) e con l’appuntamento di domenica 9 agosto (ore 21.30) con lo spettacolo Dall’Inferno all’Infinito.

Intervista di Francesca Cecconi

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ultimo aggiornamento: 06-08-2020


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