Parliamo di origin story quasi sempre quando discutiamo di un prodotto legato al mondo super eroistico. Eppure il Lupin interpretato benissimo da Omar Sy sembra averne caratteristiche e azioni, non è il ladro che ruberebbe a blackjack, statene certi. Questo approccio finisce per avere due risultati, uno positivo e l’altro negativo. Il primo vede narrato qualcosa che funziona benissimo. Assane Diop, alias Lupin, non ha mai dimenticato la morte suicida del padre legata al presunto furto di una collana. Negli anni ha affinato abilità e ingegno, per seguire le orme del celebre ladro narrato negli scritti di Maurice LeBlanc. Ora però ha una missione più nobile: è deciso a svelare il complotto dietro il furto della collana, dietro l’arresto di suo padre che ne ha scatenato la morte.

Come se tutto questo non bastasse, oltre al passato doloroso e le abilità incredibili, Assane è legato come quasi ogni super eroe fumettistico da una doppia vita. Alla moglie e al figlio non racconta dei crimini, dei furti e del suo progetto segreto ma preferisce indossare la maschera dell’ex fidanzato e del padre poco responsabile e indaffarato. Tutta la gestione di questi elementi classificabili come stilemi di una origin story: la morte di un parente, la doppia vita, le abilità straordinarie, funzionano perfettamente. Le conosciamo e sono trattate con la massima ordinarietà della struttura narrativa. All’interno dei primi quattro episodi dello show abbiamo due piani temporali: quello degli anni 90 e il presente. Anche questa alternanza dei due periodi ha il giusto spazio e il giusto ritmo. 

Come dicevo questo approccio è un’arma a doppio taglio: tutti questi elementi fanno di Lupin una serie molto buona, ma ne determinano anche un’incredibile banalità. Le prime cinque puntate rilasciate da Netflix l’8 gennaio, alle quali seguiranno altri episodi, sono un ottimo intrattenimento che nella Golden Age televisiva odierna, potrebbero non essere sufficienti. Il carisma di Omar Sy è fortissimo ma la narrazione per ora si è composta di un solo vero personaggio: Assane Diop. Gli altri sono, per ora, pretesti o semplicemente personaggi bidimensionali. Un rischio di adottare l’approccio della origin story è anche questo, ossia aver voglia di raccontare così tanto il protagonista da costruire con superficialità il roster dei comprimari. 

Ideata da George Kay e François Uzan, lo show televisivo ha anche l’obiettivo di narrare una storia di privilegio, poiché in queste cinque puntate si è indagato molto il potere, riservato a una certa fascia di persone che possono mistificare la realtà, possono corrompere e incriminare un innocente. Il padre di Assane, immigrato del Senegal, nonostante l’ottima condotta è il perfetto innocente da incarcerare proprio perché non ha nessun diritto e pochissimo denaro. Nonostante Lupin preferisca l’azione e l’intrattenimento, non si dimentica d’inserire tematiche attuali come il privilegio e l’abuso di potere. Anche questo aspetto è però abbastanza debole, tuttavia pensiamo che nella seconda parte della prima stagione sarà esplorato ancora di più. 

Oltre alla molte citazioni dell’opera letteraria di Maurice LeBlanc, Lupin eredita anche tutta una serie situazione davvero inverosimili legate a piani così elaborati  che se qualcosa andasse storto sarebbe il disastro. Quest’aspetto potrebbe in effetti creare fastidio ma è anche una scelta ricorrente della serie celebre Sherlock con Benedict Cumberbatch. Fin dalla prima puntata, lo show di Netflix con Omar Sy, crea un patto con lo spettatore sulla cosiddetta sospensione dell’incredulità. Se il pubblico accetta questo compromesso, non cercherà di soffermarsi sulle forzature e gli incredibili stratagemmi organizzati da Lupin. Inoltre proprio come la serie televisiva citata poc’anzi, quella su Sherlock, quello che vediamo potrebbe non corrispondere a realtà. Nel primo episodio, infatti, conosciamo Assane ma parte di quello che vediamo è falso. I debiti, il lavoro a Louvre, tutta una messa inscena che per fuorviare il pubblico e i personaggi. Lupin è capace anche di fare ciò, creando una dose d’imprevedibilità costante.

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