Il lavoro ci può davvero consumare? Ci può portare a sentirci vuoti? La risposta è sì!
In particolare, tutti voi avete sentito parlare di burnout. Oggi, infatti, vi voglio parlare di questa sindrome psicologica, andando a vederne la definizione, i sintomi, le cause e cosa si può fare per uscirne.
Prima di tutto, è d’obbligo una precisazione: si ha spesso la credenza che la sindrome da burnout possa colpire soltanto la categoria delle “professioni d’aiuto”, quindi medici, infermieri, OSS, e tutti coloro che si occupano di salute. In realtà, chiunque può soffrirne, le professioni d’aiuto sono solo maggiormente a rischio, quindi, in percentuale sono loro a soffrirne maggiormente.
Torniamo a noi. Christina Maslach, una delle più autorevoli esperte, definisce il burnout come una “sindrome psicologica che emerge come risposta prolungata a stressors interpersonali cronici sul luogo di lavoro” (Maslach, 2016). Questo vuol dire che deve essere presente una situazione che dura da parecchio tempo di natura relazionale/interpersonale che crea una particolare sintomatologia.
Infatti, sono tre gli aspetti principali che caratterizzano il burnout e dai quali si diramano i sintomi che poi ognuno di noi può manifestare: la presenza di un esaurimento fisico ed emotivo; la sensazione di alienazione dal proprio lavoro; e una riduzione della performance lavorativa. Da queste tre dimensioni ne derivano una serie di segni e sintomi precisi.
Foto di Peggy und Marco Lachmann-Anke da Pixabay
Chi soffre di burnout si sente stanco e svuotato delle proprie energie, soffre di mal di testa, dolori muscolari, cambiamenti nell’appetito e nel sonno (entrambi possono aumentare o diminuire). In particolare, è importante la ricaduta che si ha sul piano dell’autostima che si abbassa, accompagnata da un sentimento di fallimento verso sé stessi, dalla sensazione di essere senza speranza, in una sorta di trappola, portando così a sentirsi completamente estranei al proprio lavoro, risultando freddi, distaccati, cinici.
A catena, quindi, non si potrà più provare la stessa soddisfazione lavorativa che si provava prima e non si ha più la stessa motivazione. Infine, un vissuto come quello appena descritto, comporta delle conseguenze anche sul piano emotivo e comportamentale: tipici sono l’irritabilità e la rabbia, l’umore depresso, l’uso di alcol, sostanze e farmaci proprio per “auto-medicarsi” e contrastare i sintomi emotivi e fisici, la tendenza a procrastinare e rimandare il più possibile i compiti e le responsabilità.
Non esiste una singola causa, infatti viene definita una sindrome a origine multifattoriale perché data da un insieme di fattori sia personali, come genetica, personalità, storia famigliare e di vita e fattori di origine organizzativa/lavorativa, quali un carico di lavoro eccessivo, mancanza di controllo sul proprio lavoro, sentirsi abbandonati dalla propria azienda, tensione fra i colleghi, lavoro monotono e ripetitivo, un’ambiente di lavoro caotico, non organizzato e con pressioni sul lavoratore eccessive.
Ovviamente, vi sono ricadute anche sulle aziende, in quanto la sintomatologia vista prima porta il lavoratore ad avere un calo della sua produttività e ad assentarsi dal luogo di lavoro, e, quindi, sul lungo periodo, vi sarà un calo dell’efficienza produttiva aziendale e un calo del fatturato.
Foto di Engin Akyurt da Pixabay
Per questo e per la salute stessa dei lavoratori è fondamentale attuare un piano di prevenzione chiaro e preciso per quell’azienda, partendo da una valutazione e da un’analisi inziale e andando a creare un disegno ad hoc.
Da parte sua, il lavoratore che soffre di burnout dovrà rivolgersi a un professionista, poiché, essendo una sindrome pervasiva, con sintomi diversi e che toccano ogni sfera della vita dell’individuo è impossibile pensare di uscirne completamente da solo. Di certo, iniziare a seguire uno stile di vita sano, fare attività fisica, riuscire ad organizzarsi il proprio tempo, inserendo degli spazi per sé stessi, aiuta ed è quasi fondamentale. Tuttavia, per andare a contrastare i pensieri e i sentimenti negativi bisogna, necessariamente, rivolgersi a un professionista esperto che sappia come aiutare al meglio.
* Avvertenza: Le informazioni fornite hanno carattere generale e divulgativo e non sono da intendersi come sostitutive di regolare consulenza professionale.
L’esperta
*La Dott.ssa Linda Trogi, Psicologo Clinico e del Lavoro, Membro del Gruppo di Lavoro “Psicologia del Lavoro” dell’Ordine degli Psicologi della Toscana, si è laureata con lode in “Psicologia Clinica e della Salute”, presso l’Università di Pisa e, attualmente, sta concludendo il Master Universitario di II livello in “Psicologia della Salute Organizzativa: teorie, strumenti e metodologie per la valutazione del rischio Stress Lavoro Correlato”. Lavora sia in ambito clinico, occupandosi, principalmente, di Stress, Ansia, Autostima e Potenziamento Motivazionale, sia in ambito aziendale con Valutazione e Interventi Rischio Stress Lavoro-Correlato, Valutazione e Interventi Clima Organizzativo e Benessere Organizzativo, Formazione sulla Sicurezza Psicologica al Lavoro e Formazione Soft Skills. Per Informazioni scrivere a: [email protected]