“…Vorrei avere informazioni riguardo al mobbing.”
di Linda Trogi
Oggi rispondo alla richiesta di un nostro lettore, il quale mi ha mandato una mail. Per questioni di privacy
non riporto la mail per intero ma ne farò un breve riassunto.
Il nostro lettore sta vivendo una situazione particolare a lavoro e vorrebbe sapere se sia mobbing o
meno. Così come ho già detto a lui, dico anche a voi: questa non è una diagnosi né nient’altro di
ufficiale, sono solo informazioni a carattere divulgativo!
Innanzitutto, diamo una definizione di Mobbing, definendolo come “la messa in atto di comportamenti
dannosi in maniera continuativa, persistente e intenzionale nei confronti di un lavoratore, con il fine di
portarlo al licenziamento volontario”. Questi comportamenti dannosi solitamente sono: insulti, derisioni e
prese in giro, ostracismo, delega di compiti inutili o troppo difficili.
Questi comportamenti possono essere messi in atto da un collega, quindi un lavoratore appartenente
allo stesso livello gerarchico della vittima e in questo caso si parla di mobbing orizzontale; oppure il
persecutore può essere un superiore, entrando nel mobbing verticale, definito anche Bossing.
Riprendiamo un attimo i vari atti che possono rientrare nel fenomeno del mobbing. Questi possono
variare in base al livello di mobbing, ossia orizzontale o verticale, in quanto la quantità e la qualità di
potere è, ovviamente, diversa.
Nel mobbing effettuato da un collega di pari livello i comportamenti che, maggiormente, si osservano
sono derisioni, prese in giro, la messa in circolazione di pettegolezzi anche falsi, la discriminazione,
l’esclusione da eventi lavorativi o affini (pranzi di lavoro fra colleghi, per esempio), il non lasciare spazio
e parola durante le riunioni etc…
Quando, invece, il mobbing è messo in atto da un superiore diretto e indiretto, oltre ai comportamenti
visti nel caso del mobbing orizzontale, possiamo anche avere demansionamenti o dequalificazioni
professionali senza giusta causa, aggressioni e rimproveri verbali, sovraccarico o sottocarico di lavoro,
isolamento fisico del lavoratore (il lavoratore viene messo a lavorare in una stanza da solo molto isolata
dagli altri, per esempio), ripetute sanzioni disciplinari senza un vero motivo, controlli medici fiscali subito alle prime assenze (attenzione, alcune aziende hanno solitamente questo modus operandi, in questo caso, quindi, è difficile parlare di mobbing), ingiustificato diniego di ferie e permessi, molestie fisiche e
verbali etc…
Vittima di mobbing
A prescindere dalla tipologia, essere vittima di mobbing può avere un impatto significativo sulla propria
vita sia in azienda che nella vita privata. I sintomi che più manifestoi chi subisce atti di mobbing sono:
sentimenti di svalutazione e incapacità, bassa autostima, sintomi da stress sia a lavoro che fuori il
lavoro, mancanza di fiducia, sicurezza e determinazione al lavoro, insonnia e disturbi del sonno, calo
della produttività e della performance lavorativa, ansia, angoscia, irritabilità, stanchezza, depressione o
umore depresso, ipervigilanza, auto-denigrazione e sensi di colpa, aggressività, rifiuto delle relazioni
sociali e isolamento, disturbi alimentari, continui mal di testa, problematiche cardiovascolari e
autoimmuni, etc… Ciò che è maggiormente colpito è l’aspetto della valutazione che la persona fa di sé
stessa e delle proprie capacità, andando anche a convincersi che sia vero ciò che gli viene detto e a
credere di meritarselo in qualche modo; questo, a sua volta, a una ricaduta importante sulle emozioni e
la gestione dello stress e dell’ansia.
Chi è vittima di mobbing, oltre a tutta la parte legale, è costretto anche a rivolgersi a un professionista
della salute mentale proprio per ritrovare quel sentimento di sicurezza e di capacità, nonché un
benessere fisico e psicologico che gli è stato tolto dal suo persecutore. Ovviamente, anche l’azienda
deve attivarsi prontamente per fermare il fenomeno e prevenirlo in futuro. Nelle prossime settimane
parleremo di cosa può e/o deve fare un’azienda sia in termini di prevenzione che di estinzione del
fenomeno nel caso in cui si sia già verificato.
Infine, vorrei trattare brevemente le motivazioni e le cause che portano una persona ad attuare
comportamenti rientranti nel mobbing. Come abbiamo detto all’inizio, il fine ultimo del persecutore è
quello di portare il dipendente/collega a licenziarsi, ma questo fine può avere diverse motivazioni
sottostanti come la volontà di aggirare la normativa per i licenziamenti, la ricerca di un capro espiatorio,
una crisi economica aziendale che può far percepire il proprio posto di lavoro come incerto, motivazioni
di carattere personale (per esempio, la vendetta per non avere accettato un invito a uscire, o per gelosie
o invidie), differenze e pregiudizi di sesso, razza, religione etc… Queste sono le cause più comuni,
quando parleremo di cosa può fare l’azienda, vedremo che risulta molto importante capire le motivazioni
che hanno spinto il persecutore ad agire.
- Avvertenza: Le informazioni fornite hanno carattere generale e divulgativo e non sono da intendersi
come sostitutive di regolare consulenza professionale.
L’esperta
*La Dott.ssa Linda Trogi, Psicologo Clinico e del Lavoro, Membro del Gruppo di Lavoro “Psicologia del Lavoro” dell’Ordine degli Psicologi della Toscana, si è laureata con lode in “Psicologia Clinica e della Salute”, presso l’Università di Pisa e, attualmente, sta concludendo il Master Universitario di II livello in “Psicologia della Salute Organizzativa: teorie, strumenti e metodologie per la valutazione del rischio Stress Lavoro Correlato”. Lavora sia in ambito clinico, occupandosi, principalmente, di Stress, Ansia, Autostima e Potenziamento Motivazionale, sia in ambito aziendale con Valutazione e Interventi Rischio Stress Lavoro-Correlato, Valutazione e Interventi Clima Organizzativo e Benessere Organizzativo, Formazione sulla Sicurezza Psicologica al Lavoro e Formazione Soft Skills. Per Informazioni scrivere a: [email protected]