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VIAREGGIO. Da giocatore era elegante nelle movenze, astuto e lesto nei movimenti, abile a gettarsi sul pallone quando l’avversario proprio non se l’aspettava. Con simili credenziali, era impossibile che Alberto Francesconi non venisse ribattezzato lo ‘sparviero’ quando arrivò a vestire la maglia del Viareggio. L’esperto attaccante, che sembrava la perfetta trasposizione in campo calcistico e umano dell’omonimo volatile, lo fece in corrispondenza di uno dei momenti più belli della storia bianconera, la doppia promozione dall’Eccellenza alla Serie C2 e la conquista della Coppa Italia dilettanti.

A pochissimi giorni dall’attesa finale di andata della Coppa Italia di Lega Pro tra le zebre e il Latina viene quasi inevitabile pensare a Francesconi, che dell’altra Coppa Italia, quella alzata al cielo il 26 aprile 2006 allo stadio Flaminio di Roma, fu un indiscusso protagonista.

“Arrivai a Viareggio nell’estate del 2005: mi contattò l’allora direttore sportivo Andrea Strambi”, ricorda lo ‘sparviero’, oggi allenatore degli Juniores nazionali della Lucchese dopo oltre 250 reti e 14 campionati vinti in carriera. “Ricordo il colloquio con il presidente Stefano Dinelli: dopo cinque minuti l’accordo fu concluso.”

I due anni in riva al Mar Tirreno occupano un posto speciale nel cuore di Francesconi: “Fu un biennio bellissimo, non fosse altro per i trofei che abbiamo vinto. Un bienno indimenticabile, con un’accoglienza fantastica e una cornice di pubblico unica per l’Eccellenza.” Già, perché in quel periodo le zebre tentavano, faticosamente, di tornare tra i professionisti e di abbadonare i campi polverosi di cittadine dimenticate dal Signore. “L’inizio fu difficile e, dopo un passo falso in campionato, un gruppo di tifosi entrò in campo durante un allenamento: molto educatamente ci dissero che, dopo due promozioni sfumate, volevano la promozione a tutti i costi. A quel punto capii che Viareggio era una piazza molto ambiziosa.”

Poi, finalmente, le zebre iniziarono a galoppare verso la promozione in Serie D. E poi ci fu la ciliegina sulla torta della Coppa Italia. “Nelle prime partite mister Caramelli alternava più volte titolari e riserve. Poi, una volta che la finale al Flaminio si avvicinava sempre di più, decise di puntare su certi giocatori: ricordo che a Roma avrebbe dovuto giocare tra i titolari Elia Luzzoli, che poi finì in panchina per far spazio al sottoscritto. E lui, naturalmente, non la prese bene.”

Francesconi arrivò alla sfida con il Real Ippogrifo Sarno dopo una lunga squalifica rimediata agli ottavi contro il San Secondo Parmense: “Fui espulso assieme ad un loro giocatore e nel tunnel degli spogliatoi iniziammo a battibeccare. Pensai che l’arbitro non ci avrebbe visto. Era, tuttavia, presente un giudice di campo che assistette alla scena: entrambi ci beccammo quattro giornate.” Francesconi tornò in tempo per la finale, decisa da una sua doppietta: “Per me quel giorno rimane uno dei più belli della mia carriera calcistica: giocammo al Flaminio, era un appuntamento storico per il Viareggio. Vincerla e segnare entrambe le reti fu quanto di meglio potessi chiedere.

“Il primo gol fu una fucilata che non lasciò scampo al portiere, il secondo un bel pallonetto. Li segnai tutti e due di destro, con Fruzza autore dell’ultimo passaggio: scrivilo, mi fa piacere ricordarlo. Da viareggino visse in maniera viscerale quei trionfi.” E poi la grande festa, sul campo e sul pullman: “Ricordo l’esultanza di Angelo Francesconi, lo storico dirigente del Viareggio che poi morì pochi mesi dopo: prese il trofeo in mano e se lo strusciò ben bene. Se lo meritava davvero.”

L’anno successivo Francesconi scrisse un’altra pagina indelebile del calcio viareggino siglando il momentaneo pareggio nella sfida poi vinta contro l’Aglianese che valse ai bianconeri la promozione in Serie C2. E poi, a fine stagione, l’amaro addio. “Il calcio è anche questo: a 25 anni finisci per portare rancore, quando diventi più anziano lo accetti. Ero convinto che avrei potuto dare il mio contributo anche tra i professionisti.

“Con quei compagni di squadra, comunque, sono rimasto in contatto, tant’è che spesso organizziamo delle rimpatriate. Ho lasciato tanti amici nelle città in cui ho giocato, ma solo con il gruppo del Viareggio sono stato affiatato a tal punto.”

Foto bustocco.it

Quando Francesconi rimembra quei giorni di gloria, un pensiero corre al pubblico che si riversava sui gradoni dei “Pini”. Le zebre, adesso, giocano nella terza serie nazionale, eppure i tifosi scarseggiano. “Quello che state vivendo a Viareggio succede anche qui a Lucca, dove non si va oltre le 600 presenze: in generale la gente si è disinteressata del calcio, vuoi per l’avvento delle tv a pagamento, vuoi per i prezzi talvolta alti, vuoi per gli scandali che lo hanno investito.

“Ricordo quando ero bambino che anche nelle categorie inferiori gli stadi erano quasi sempre pieni. Le famiglie si presentavano al completo, tutti con la sciarpa al collo, e forse sono proprio i bambini i grandi assenti sulle tribune.

“Noto che a Pisa, Livorno o La Spezia i tifosi non mancano, perché ormai lo hanno nel Dna di giocare ad alti livelli: altrove, vedi Lucca o Viareggio, non è la stessa cosa. La generazione compresa tra i 18 e i 30 anni non è stata educata, o meglio, avvicinata al calcio e ai colori sociali della propria città e questo è sicuramente un peccato.” A buon intenditor…

 

@GorskiPark

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