dal nostro inviato

L’AQUILA. Passeggiando per corso Vittorio Emanuele, l’arteria principale di L’Aquila, non sembra certo che dalla notte del 6 aprile 2009, quella del terremoto, siano passati quattro anni e mezzo. Cumuli di macerie, edifici pieni di crepe, impalcature. Addirittura l’esercito. “Siamo sempre qui, ventiquattro ore su ventiquattro, anche a Natale”, racconta un saldato che presidia una delle tante zone rosse. “Questione di sicurezza”, ci dice.

L’Aquila e Viareggio sono unite nel dolore e nel ricordo delle rispettive tragedie, ma con una differenza. Se del disastro ferroviario i segni tangibili sono stati sensibilmente ridotti da un incessante lavoro di ricostruzione, quelli del terremoto sono facilmente visibili.

Camminare per L’Aquila fa un certo effetto. Specie la prima volta. Nell’aria si respira ancora il pungente odore di calcina. Sui vetri di molti negozi ci sono cartelli con scritto “Vendesi” o “Affittasi”.

Il centro cittadino non è molto lontano dallo stadio. Anzi. Anche a piedi, la distanza è piuttosto breve. Nonostante il cielo plumbeo e minaccioso, in molti hanno deciso di trascorrere la domenica allo stadio. Tutti sapevano che quella col Viareggio era una partita che andava ben oltre il semplice aspetto sportivo. Hanno gioito una, due, tre, quattro volte. La loro squadra del cuore ha vinto. Tre punti che, ovviamente, non bastano per lenire il dolore, le sofferenze, lo strazio provati la notte del 6 aprile 2009 e quelle a seguire.

Gabriele Noli

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ultimo aggiornamento: 29-09-2013


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