VIAREGGIO. Alle 3 del mattino ci arrivò una telefonata. Era mia figlia Emanuela. Disse a mia moglie: ‘C’e’ stato un incidente, ma non ti preoccupare, non mi sono fatta niente’. Dopo 42 giorni di agonia è morta”. Lo ha raccontato Claudio Menichetti, uno dei testimoni del pm al processo per la strage di Viareggio, che il 29 giugno 2009 provocò 32 morti.

Emanuela aveva 21 anni. Sua madre, Daniela Rombi,è  l’anima dell’associazione ‘Il mondo che vorrei’, che raggruppa i familiari delle vittime. ”Quando arrivammo all’ospedale, e il primario ci disse che Emanuela stava malissimo, mia moglie svenne”, ha ricordato Menichetti.

”Una domenica eravamo alla messa – ha continuato Menichetti – e’ arrivata una telefonata, ci hanno detto che l’encefalogramma era piatto. La notte prima mia moglie si era sognata che Emanuela la stava massaggiando, e’ stato l’ultimo suo saluto. Io e mia moglie siamo andati in cura dagli psicologi. Io ho preso farmaci per due mesi, poi ho smesso: voglio essere lucido nella mia rabbia. E’ successa una cosa che non dovrà mai più accadere.

Se la sede ferroviaria non è un biliardo, non bisogna farci circolare sopra delle bombe”.

Un sopravvissuto, Rolando Pellegrini, ha ricordato che, nel 2001, 76 abitanti di via Ponchielli scrissero una lettera alle Ferrovie per chiedere ”una protezione per la strada, che ci fossero barriere, visto che passavano tanti convogli. Davanti a casa mia stazionavano sistematicamente convogli con impresso il marchio del teschio. Un muro avrebbe sicuramente reso meno grave il bilancio dei morti. Anche ora abito vicino alla ferrovia, ma sono stati tolti due binari e c’e’ un muro, credo si possa stare tranquilli”. Dopo la testimonianza di Pellegrini, uno dei difensori ha ricordato che ”il progetto per la barriera antirumore era gia’ in iter, ma e’ stata bloccato dalla Regione, che negò il permesso”.

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