INDURATIO PENIS PLASTICA, LA MALATTIA CHE SI FA PER TRE…

L’attento lettore della nostra rubrica settimanale sa che non parliamo di algebra o matematica ma della Malattia di La Peyronie o Induratio Penis Plastica, una malattia per certi versi complessa, di difficile terapia e che interessa un numero elevatissimo di uomini, anche se spesso in un modo un po’ sommerso per la comprensibile ritrosia a parlarne pubblicamente (chi durante una bella cena con amici esordirebbe con una frase del tipo: LO SAPETE CHE HO IL PISELLO UN PO’ STORTO?!...).

Chi ne è affetto sa quanto lente e talvolta inconcludenti siano le terapie e quante domande, per esempio sulla sua origine, rimangano senza sicura risposta. Ma sappia, questo sconfortato paziente, che la ricerca medica va avanti e che nuovi spiragli si aprono quasi giornalmente. Tra questi l’osservazione, piena di potenzialità, di come la Induratio Penis sembri paragonabile ad altre due malattie, solo apparentemente diverse per sedi e caratteristiche.

Queste tre cugine sono: La malattia di Dupuytren, La malattia di Ledderhose, e lei, la malattia di De La Peyronie.

Della malattia di la Peyronie già sappiamo molto. Si caratterizza per la formazione a carico dei corpi cavernosi di un’area fibrosa, cicatriziale ed anelastica denominata “placca”. Solitamente esordisce come una tumefazione nodulare nel pene che può estendersi fino a formare un manicotto completo attorno al pene (cosiddetto “a clessidra”). La placca da IPP si accompagna nella maggior parte dei casi ad un incurvamento del pene, che nei casi più gravi può raggiungere i 90°. L’eziopatogenesi è a tutt’oggi misconosciuta; la teoria più accreditata vedrebbe l’IPP come un “processo infiammatorio aberrante” che riconoscerebbe come primum movens un microtrauma ripetuto a livello penieno che, tuttavia, non sarebbe sufficiente senza che intervenissero altri fattori (familiarità, trasmissione genetica, infezioni, diabete, processi autoimmuni).  La storia naturale dell’IPP prevede una fase iniziale “infiammatoria”, della durata variabile di 6-18 mesi, a cui segue la fase cosiddetta “stabilizzata”. Il decorso è assolutamente imprevedibile e variabile nel tempo, potendosi osservare una stabilizzazione, una progressione o una regressione spontanea (13% dei casi) della malattia. Il trattamento della patologia può essere medico o chirurgico a seconda della fase della malattia e della gravità. Nella fase iniziale infiammatoria è indicato un atteggiamento conservativo non chirurgico; tuttavia essendo l’eziopatogenesi misconosciuta le varie opzioni di trattamento hanno riportato risultati variabili e spesso contrastanti. In tale contesto numerose sono le opzioni terapeutiche proposte (tutte off-label) che vanno dalla terapia orale (Vitamina E, Potaba, Propoli, Carnitina, Antinfiammatori, ecc.) a quella intralesionale (Verapamil, INF, Corticosteroidi, Collagenasi); dalla terapia topica (Verapamil, orgoteina, idrocortisone, trifluoperazina) a quella con mezzi fisici (Iontoforesi-EMDA, Penile Traction Therapy, Ultrasuoni, ESWL). A tal proposito va ricordato che a Dicembre 2013 la FDA ha approvato l’utilizzo di una Collagenasi (Xiaflex) per il trattamento dell’IPP e che attualmente tale farmaco è l’unico approvato ufficialmente come terapia non chirurgica per questo utilizzo. Il ricorso alla terapia chirurgica invece, è indicato quando la placca sia stabile ed i pazienti presentino una disfunzione erettile e/o un incurvamento penieno tali da precludere l’attività sessuale completa. Per quanto riguarda la terapia chirurgica, questa può presentare importanti complicanze, tra cui: accorciamento del pene, perdita di sensibilità del glande, perdita parziale della capacità erettile, incurvamento residuo per retrazione cicatriziale, cicatrici antiestetiche. Complicanze che possono imporre il posizionamento di una protesi in un secondo momento.

 

La malattia di Dupuytren è una fibromatosi benigna che coinvolge la fascia palmare e digitale della mano.  Esordisce come una massa nodulare nel palmo e, con un decorso assolutamente imprevedibile e variabile nel tempo, può estendersi fino a formare una corda che creando una retrazione delle dita le porta progressivamente a flettersi.  La familiarità è un elemento importante nella sua genesi. Sono note alcune condizioni dismetaboliche o infettive nelle quali il morbo di Dupuytren si manifesta: diabete, epilessia, etilismo, fumo, infezione da HIV. Il trattamento consiste nel trattamento chirurgico e nell’utilizzo della collagenasi.

 

La malattia di Ledderhose è una patologia che colpisce la fascia plantare, robusta lamina fibrosa della pianta del piede. Questa malattia, tipica dell’adulto è più frequentemente primitiva ma a volte secondaria a traumi o microtraumatismi ripetuti. Più frequente nel maschio, spesso vi una tendenza familiare. Sembra anche esservi una sua correlazione con l’assunzione di barbiturici o isoniazide. Anche il diabete è un fattore predisponente. Pare esista un legame, anche se non statisticamente dimostrato, con abuso alcolico, fumo di sigaretta ed epatopatie. La sintomatologia è lentamente progressiva: il paziente dapprima riferisce una sensazione di fastidio, di presenza di corpo estraneo a livello plantare, che avverte durante la deambulazione e che successivamente risulta clinicamente evidente, sotto forma di formazioni nodulari.  Con il tempo i noduli tendono ad infiltrare la cute e ad aumentar di numero. Molte sono le terapie impiegate: infiltrazioni di corticosteroidi locali, crioterapia, infiltrazioni con superossido dismutasi. Anche la terapia fisica viene spesso impiegata in particolare le onde d’urto. Recentemente sono state impiegate infiltrazioni locali di collagenasi. Infine resta la soluzione chirurgica.

 

Il lettore attento avrà notato come molte situazioni tendono a ripresentarsi in ognuna delle tre malattie:

  • Incidenza: manifestazione talora contemporanea delle tre malattie
  • Causa: sconosciuta (primum movens traumatico? Familiarità? Autoimmune?)
  • Patogenesi: flogosi fasciale
  • Fattori di rischio: diabete, ipertensione, tossici
  • Segno clinico: nodulo/placca
  • Terapie conservative: numerose con risultati variabili e contrastanti. In attesa di conferma da parte delle collagenasi.
  • Terapie chirurgiche: prevedono l’asportazione del tessuto fibrotico, efficaci ma non scevre da complicanze talora anche serie.

Solo una curiosa coincidenza tra TRE malattie, magari motivo di chiacchiere tra studiosi? Credo proprio di no. Piuttosto mi sembra una bella spinta a fare un lavoro di squadra tra ricercatori e specialisti delle varie branche interessate (andrologi, urologi, ortopedici, reumatologhi),

PERCHÉ LA CURA DEFINITIVA PER UNA VARRÀ PROBABILMENTE PER TRE!

 LA FRASE DEL GIORNO:

“…Chi dice che è impossibile non dovrebbe disturbare chi ce la sta facendo…”   Albert Einstein

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