Un urlo nel silenzio: “Sono detenuta ingiustamente, per un fatto che non ho commesso”.
La lettera inviata a Letizia Tassinari, che si è occupata del caso fin dall’inizio, arriva, tramite l’associazione Pantagruel, dal carcere di Sollicciano, scritta da Maria Casentini, condannata anche in Cassazione il 19 aprile dello scorso anno, a 16 anni di reclusione.
Il caso è noto: Velia Carmazzi e Maddalena Semeraro, le donne scomparse dal campo di Torre del Lago nell’agosto del 2010, i cui corpi non sono mai stati ritrovati. Maria Casentini, che in tutti e tre i gradi del processo è stata difesa dall’avvocato Eriberto Rosso del Foro di Firenze, si è sempre dichiarata innocente, ma entrambi, lei e Massimo Remorini, condannato a 38 anni, furono riconosciuti colpevoli, in concorso, dei reati di sequestro di persona, maltrattamenti, omicidio aggravato e distruzione di cadavere. “Maria Casentini le imbottiva di Novalgina”, aveva affermato Francesco Tureddi,  il teste chiave dell’accusa, e quel bidone dove le due donne  sarebbero state bruciate, a quanto riferito sempre da “Cecchino”, era stato avvolto in un coprimaterasso, caricato su un Berlingo e gettato in un cassonetto vicino al Pollino, a Pietrasanta, pochi giorni prima che i carabinieri del Ris iniziassero a scavare nel campo degli orrori a Torre del Lago e a scandagliare il lago.
“Questo è un incubo – si sfoga nella missiva Maria Casentini: “Sono stata accusata e poi condannata per cose terribili, che toglierebbero il sonno e la pace a chiunque abbia coscienza, ma sono un caso limite, di quelli che accadono una volta su un miliardo. Sono l’errore giudiziario”. “Il mio unico errore, se errore si può chiamare,  è stato frequentare un uomo – prosegue la donna, rifererendosi a Massimo Remorini, del quale, come noto, era l’amante: ” si crede sempre di conoscere chi abbiamo accanto, anche chi ci è intimo, ma in fondo restiamo comunque estranei, e molte erano le cose che di lui non sapevo. Io conducevo una vita semplice, fatta di una pizza con amiche e del frequentare questo uomo di cui mi ero infatuata. E ora mi ritrovo in cella a pagarne le conseguenze, anche se so che di non essere in nessun modo coinvolta in quella vicenda”.

Una storia, quella del giallo di Torre del Lago, salita agli onori delle cronache non solo locali ma anche nazionali – se ne occupò infatti anche il programma di Rai 3 “Chi l’ha visto?”-  e per la quale Maria non punta il dito su nessuno: “Magari potessi , e sapessi su chi puntarlo – scrive nella lettera -: “Non so come, ma sono stata un capo espiatorio. Ho letto tutti gli atti, e non capisco come si possa essere arrivati alla conclusione di reputarmi colpevole. Lo fossi, non potrei mai continuare a vivere con tale peso sulla coscienza. L’accusa contro di me è terrificante, ma lontanissima dalla mia persona”.

Chiusa nella sua cella a Sollicciano Maria si domanda spesso cosa possa essere accaduto: “Alle domande si aggiungono altri interrogativi, ma l’unica certezza  è che io sono qui, senza sapere il perché, senza avere idea di cosa sia accaduto. Nonostante sia una donna adulta e matura, mi sento piccola e sperduta e so di non essere in nessun modo coinvolta, eppure eccomi qui a pagarne le conseguenze. Sono sicura non è stata fatta giustizia. Possibile che nessuno abbia visto o sentito anche un solo particolare e taccia sapendo che qualcun altro sta pagando col carcere?” Segreti da svelare, quelli di cui parla Casentini che, se svelati, “salverebbero un innocente che ora è in cella”.

“Chiedo, e imploro: se c’è qualcuno che sa, parli, lasci la sua anima libera dalla menzogna, e liberi chi sta pagando da innocente  – è l’appello col quale Maria Casentini chiude la sua lettera a Letizia Tassinari: “Nella mia vita ho sempre aiutato gli altri, e anche ora che mi ritrovo in questo luogo di costrizione- il carcere, ndr – e mi sento soffocare dall’ingiustizia subita, non mi lascio andare alla depressione e all’apatia. Continuo nella speranza e nella fede che la giustizia dell’uomo e di Dio si compia. Continuerò a lottare affinchè la verità venga a galla”.

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