Ritratto incompiuto del padre – per finire con l’infanzia (Ebauche du père – pour en finir avec l’enfance) di Jean Sénac. Traduzione e curatela di Ilaria Guidantoni. Pubblicato da OltreEdizioni, Collana OltreConfine

La presentazione sabato 20 ottobre alle ore 16.30 nell’ambito di Libropolis al Chiostro di Sant’Agostino a Pietrasanta.

Il Pasolini d’Algeria, di origini andaluse e di espressione francese, ucciso in circostanze violente e misteriose nel 1973 racconta la propria infanzia nel quartiere popolare ebraico durante la Guerra d’Indipendenza. Un racconto lirico autobiografico dello scrittore a lungo legato a Camus che ruppe questo sodalizio per una diversa visione politica. Un libro nel quale il mare fa da colonna sonora.

“Il Pasolini d’Algeria”, così definito dalla critica algerina, arriva per la prima volta in Italia nella traduzione curata da Ilaria Guidantoni che commenta il testo (comprensivo di un saggio di confronto con Pier Paolo Pasolini di Diletta D’Ascia e un’intervista al drammaturgo algerino che lo ha conosciuto Aziz Chouaki): poeta algerino di origini andaluse e di espressione francese, cresciuto come bastardo nel quartiere popolare ebraico di un villaggio di pescatori, figlio di una mamma devota cattolica, in questo suo unico romanzo incompiuto (che avrebbe dovuto essere una sorta di Recherche) racconta in una sorta di anti-romanzo la sua estate del 1942 a Hennaya. Il libro con una scrittura folgorante, precursore del nouveau roman, porta alla luce le contraddizioni di una vita alla perenne ricerca di un’assenza pesante come una presenza ingombrante; il rapporto tenero eppure sofferto con la mamma bigotta, pagana allo stesso tempo e amorevole “ape operosa notturna”. Il romanzo è un affresco della prima adolescenza, lacerata, di un cantore del Mediterraneo – il mare fa da sfondo come una sorta di colonna sonora silenziosa – le sue prime esperienze sessuali, le contraddizioni tra il senso di colpa e la coltivazione del peccato, la miseria eppure la felicità di un mondo solidale e assolutamente meticcio, come si rileva anche dalla lingua che passa da momenti lirici in un francese elegante, all’uso di termini dialettali mutuati dalle diverse lingue, talora (volutamente?) storpiati, dallo spagnolo, all’arabo, all’ebraico, alla lingua berbera. E’ il ricordo nella distanza degli anni (perché il libro è scritto tra il 1959 e il 1962 ma poi ripreso più volte e pubblicato postumo da Gallimard nel 1989) che con il tempo ha messo a fuoco la distanza con l’Algeria sognata dalla rivoluzione per l’indipendenza e la delusione che segue; così come la rottura, dopo una lunga amicizia e corrispondenza, con Albert Camus proprio per le diverse posizioni politiche. E’ anche la storia della scoperta dell’età adulta, ad esempio dell’esistenza delle razze quando l’antisemitismo arriva nel Maghreb e un compagno di scuola viene allontanato. Una scrittura folgorante, un libro che racconta l’urgenza dello scrivere e la sofferenza di una confessione che – dichiara lo scrittore – è uno streptease dell’anima. Dal romanzo emerge anche l’affresco di un mondo scomparso povero ma bello del sud, assimilabile anche al nostro sud.

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