Strage, appellata la sentenza di primo grado.
Tra i motivi di appello anche l’ordinanza del 8 gennaio 2013 con la quale il tribunale di Lucca aveva dichiarato infondata la questione di nullità del provvedimento di assegnazione del processo al Collegio III: “vizio di costituzione del Collegio giudicante, vizio dell’iter di formazione e assegnazione del processo e la violazione dei criteri tabellari”. All’ udienza preliminare celebrata dal 25 marzo al 18 luglio 2013, il Gup del Tribunale di Lucca aveva disposto il rinvio a giudizio degli imputati davanti al Tribunale per l’udienza del 13 novembre 2013, indicando nominativamente i giudici chiamati a far parte del Collegio. “Questa a dir poco singolare indicazione del “giudice-persona” assegnatario del processo, – Gerardo Boragine, Valeria Marino e Nidia Genovese, ndr – del tutto sconosciuta alla pratica giudiziaria, è oggettivamente eccedente i poteri riservati dal codice di rito al Gup”, si legge negli atti: “Il collegio cui era stata devoluta la cognizione della sciagura di Viareggio non esisteva”. Una assegnazione al Collegio III, scelto “ad hoc”, secondo la difesa degli imputati: “I vizi ravvisabili nel provvedimento che ha attribuito la competenza a conoscere il procedimento al Collegio III incidono certamente sulle regole di corretta attribuzione degli affari penali sia sotto il profilo formale, sia sotto quello sostanziale”
Se i giudici di secondo grado dovessero accertare la nullità del provvedimento di assegnazione del processo al Collegio III, il processo di primo grado ripartirebbe da capo.
Il giorno della sentenza del processo di primo grado, tanto atteso, era arrivato il 31 gennaio dello scorso anno. Dopo ben 144 udienze. Mauro Moretti, ex ad di Fs, era stato condannato a sette anni. I pm avevano chiesto la condanna a 16 anni. Assolto come amministratore delegato delle Ferrovie dello Stato, ma i giudici avevano disposto la sua condanna come ex amministratore delegato di Rfi. Il suo braccio destro Michele Elia (ex ad di Rete ferroviaria italiana) era stato condannato a 7 anni e 7 mesi, così come Vincenzo Soprano (ex ad di Trenitalia) mentre il dirigente di Rfi Giulio Margarita era stato condannato a 6 anni e 6 mesi.
Per tutti gli imputati per la strage alla stazione di Viareggio che il 29 giugno 2009 causò 32 morti, le accuse andavano, a vario titolo, da disastro ferroviario, omicidio colposo plurimo, incendio colposo e lesioni colpose. Queste le ulteriori condanne: 6 anni a Salvatore Andronico, della Divisione Cargo, 7 anni a Mario Castaldo (Divisione Cargo), 6 anni a Giovanni Costa (Rfi); 6 anni a Giorgio Di Marco (Rfi), 6 anni ad Alvaro Fumi (Istituto sperimentale), 6 anni e 6 mesi a Emilio Maestrini (Trenitalia); 6 anni a Enzo Marzilli (Rfi), 7 anni a Giuseppe Pacchioni (Cima Riparazioni), 6 anni e 6 mesi a Daniele Gobbi Frattini (Cima Riparazioni), 6 anni e 6 mesi a Paolo Pizzadini (Cima Riparazioni); 9 anni a Uwe Koennecke (Jugenthal), 9 anni e 6 mesi a Rainer Kogelheide (Gatx); 8 anni a Uwe Kriebel (Jugenthal), 9 anni e 6 mesi a Peter Linowski (Gatx), 9 anni a Johannes Mansbart (Gatx), 9 anni a Roman Mayer (Gatx) e 8 anni a Andreas Schroeder (Jugenthal).
I giudici avevano invece assolto 10 dei 33 imputati per non aver commesso il fatto :Andreas Barth dell’Officina Jungenthal di Hannover, Andreas Carlsson, della Jungenthal di Hannover, Joachim Lehmann, supervisore esterno della Jungenthal, Massimo Vighini, Calogero Di Venuta, responsabile della Direzione compartimentale di Firenze Movimento Infrastrutture, Giuseppe Farneti, sindaco revisore di Fs prima e poi di Italferr, Gilberto Galloni, ad di Fs Logistica, Angelo Pezzati, predecessore di Di Venuta, Stefano Rossi e Mario Testa. Assolto anche Moretti dai reati a lui ascritti come ad di Ferrovie e Vincenzo Soprano, limitatamente ai reati ascritti come ex dirigente di Fs. Esclusa la responsabilità per illecito amministrativo anche di Ferrovie dello Stato Spa, di Fs Logistica, di Cima Riparazione. Il presidente del Collegio, Gerardo Boragine, con a a latere i giudici Nadia Genovesi e Valeria Marino, nella sentenza letta in aula avevano previsto anche il risarcimento dei danni a carico delle società imputate e dei condannati al risarcimento alle famiglie delle vittime, alla Provincia di Lucca e alla Regione Toscana, che si erano costituite parte civile nel processo. Per i danni, da liquidarsi in separata sede, queste le provvisionali: a Marco Piagentini 1.000.000 più 400 mila euro; a Raffaello Piagentini 40 mila euro; a Dalma Piagentini 40 mila euro; a Daniela Rombi 600 mila euro; a Claudio Menichetti 600 mila euro; ad Andrea Maccioni 300 mila euro; a Serena Maccioni 50 mila euro; a Silvano Falorni 250 mila euro; a Giovanni Menichetti 90 mila euro; a Maria Grazia Antonelli 50 mila euro; a Ivana Bonetti 30 mila euro; ad Anna Maria Orsi 50 mila euro; a Riccardo Rombi 100 mila euro; a Serena Rossi 40 mila euro; a Mirella Pucci 300 mila euro; a Vincenzo Massimo Orlandini 100 mila euro; ad Alessandro Del Lupo 30 mila euro; a Paolo Comelli 40 mila euro; a Rinaldo Bertozzi 40 mila euro; a Gigliola Mazzoni e Maria Carla Mazzoni 160 mila euro; a Caterina Puzzello 70 mila euro; a Federico Parrini 50 mila euro; a Stefania Cataldo 20 mila euro.
L’impianto accusatorio dei due pubblici ministeri Giuseppe Amodeo e Salvatore Giannino era stato in tutto e per tutto confermato dai giudici. Era stato riconosciuto che quel treno non era sicuro e erano stati riconosciuti i colpevoli, persone fisiche e società stesse. Le pene “basse” perché, ovviamente , i delitti contestati sono tutti colposi. Moretti, nello specifico, aveva avuto una condanna inferiore rispetto a quella richiesta dal pm perché era stato riconosciuto colpevole solo in qualità di ad di Rfi e non in qualità di ad di Ferrovie dello Stato (che poi è la società capogruppo che detiene tutto il pacchetto azionario di rfi e trenitalia spa).
Nessuna sentenza comunque potrà mai far tornare indietro i morti. Non servono pene esemplari (che poi, in questo caso, è proprio il codice che le esclude), serve la certezza della punizione, serve che per processi così complessi la prescrizione non operi. Serve arrivare ad una condanna definitiva nel più breve tempo possibile. Considerando il calibro di alcuni imputati, questa sentenza è stata quasi storica.
Molte case, quella maledetta notte, furono rase al suolo, bruciate, e con esse tutte gli oggetti cari: il letto, la televisione, la cucina, i libri, le foto. I pochi bambini rimasti vivi persero i loro balocchi, sciolti dal calore infernale del fuoco. I pochi giochi miracolati dalle fiamme non servirono più ai tanti piccoli morti in quella maledetta strage degli innocenti, come Luca e Lorenzo Piagentini o Iman Ayad. Una tragedia tanto inaspettata, quanto crudele e devastante. L’odore della morte, camminando tra le macerie delle case sbriciolate sotto la furia assassina delle fiamme, rimase a lungo. E la città di Viareggio tutta lo ricorda bene. Case annerite, persiane liquefatte, stanze violate, lenzuola bruciate. Tutto era senza vita. Una città fantasma, dove il silenzio nelle ore successive alla immane tragedia era interrotto solo dal rumore delle gru al lavoro. I Vigili del Fuoco scavarono a lungo tra i detriti delle case crollate, gli uomini della Polizia Scientifica lavorarono per cercare tracce, indizi, un particolare, che potesse aiutare a risalire alle identità dei cadaveri, rimasti per giorni senza nome, che giacevano sui letti delle gelide camere dell’obitorio dell’Ospedale “Versilia”. E poi i dispersi, quelli che mancavano all’appello. Con le speranze di trovarli ancora in vita che si affievolivano di ora in ora. Lo scenario era impressionante, irreale. I lavori per svuotare del Gpl le cisterne del treno “maledetto” proseguirono per giorni. Poi il lungo mostro mortale giacque fermo sul binario uno della stazione di Viareggio. Nel silenzio di tomba che avvolgeva tutta la zona, off limits per tutti. Ad operazioni finite i circa settecento abitanti residenti nella zona evacuata poterono fare ritorno nelle loro case, mentre per gli abitanti della via Ponchielli e della via Pietrasantina i tempi non furono brevi. Sia per chi aveva avuto danni lievi, da riparare, ma soprattutto per chi ha dovuto attendere la ricostruzione.
Un boato, poi un altro, poi un altro ancora. Pochi secondi, e Viareggio alle 23.48 del 29 giugno 2009 divenne l’inferno. Mancavano pochi minuti alla mezzanotte quando il merci proveniente da La Spezia e diretto a Pisa con i freni in fiamme, appena passata la stazione, deragliò nella parte posteriore dopo neanche trecento metri da piazza Dante, all’altezza del Dopo Lavoro Ferroviario. Una delle quattordici cisterne piene di gas Gpl esplose e il gas che era fuoriuscito si era trasformato prima in una grossa nube bianca, poi in una immensa lingua di fuoco che aveva avvolto una intera strada.
La scena in pochi attimi fu da apocalisse. Nella via Ponchielli, parallela alla strada ferrata, lato monte, le fiamme distrussero tutte le abitazioni e le auto parcheggiate. Qualcuno era riuscito a scappare, montando sui tetti, o buttandosi da una finestra sulle corti interne e aveva cercato riparo nella adiacente via Aurelia. Molti erano invece rimasti dentro, carbonizzati. Qualcuno sotto le macerie. Lato mare, invece, le fiamme avevano avvolto il deposito della Croce Verde, distruggendo ben sei automezzi e danneggiandone gravemente altri quattro. Il primo bilancio della tragedia inaspettata, alle sei della mattina successiva fu di otto morti accertati, per poi arrivare a 32, dopo mesi. I corpi ancora vivi estratti dalle abitazioni in fiamme, e quelli di coloro che erano riusciti a scappare da soli dall’inferno, quella notte furono sdraiati sui marciapiedi, in attesa delle autoambulanze. Corpi nudi, neri, bruciati, irriconoscibili. Straziati. I mezzi dei Vigili del Fuoco arrivarono da tutta la Toscana. Oltre alla task force di Polizia, Carabinieri, Guardia di Finanza, Vigili Urbani
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appello strage di viareggio

ultimo aggiornamento: 19-10-2018


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