I sensi di colpa delle mamme stancano. Ti privano di lucidità, minano la tua autostima, ti spingono a mettere in dubbio ogni circostanza, ogni capacità che eri convinta di possedere.

Noi mamme, i sensi di colpa, ce li abbiamo appiccicati addosso come i tatuaggi che i bambini si fanno sull’avambraccio, un giorno Spiderman, il giorno dopo i Minions.
Anche i nostri sensi di colpa vanno e vengono a seconda delle mode e delle vicissitudini del momento, oltre che in funzione dell’interlocutore con cui abbiamo a che fare.

E mentre alcuni sensi di colpa svaniscono al primo colpo di spugna come un tatuaggio venuto male, altri resistono al tempo e ai tentativi di rimozione, trasformandosi in vere e proprie cicatrici indelebili.

I sensi di colpa ci accompagnano sempre e da sempre, addirittura fin da prima di diventare madri.
Oggi Paola ci parla dei dubbi e dei sensi di colpa che accompagnano la nascita di un bambino.

Il momento giusto per avere un figlio

Per anni mi sono sentita rivolgere con morbosa invadenza la fatidica domanda: «allora, quando lo fate un figlio, tu e Gabriele?». Io rispondevo con un sorriso imbarazzato e mi chiedevo se, cucita sul petto, avessi una sorta di sillaba scarlatta. NI. Ovvero: Non Incinta. Anzi: NAI. Non Ancora Incinta, nonostante i miei trentaquattro anni di vita alle spalle di cui diciassette condivisi con mio marito.

Che cosa stavo ancora aspettando? Non era forse arrivato il momento giusto per avere un figlio? Era questo ciò che tutti si aspettavano da me, noncuranti dei miei sentimenti e delle mie paure irrivelate.

Che aspettate ad avere un bambino?

Di fronte a domande di questo genere di cui troppe volte siamo destinatarie, noi donne ci sentiamo spesso in dovere di dare spiegazioni, come se avessimo la colpa di qualcosa; e, invece, l’unica colpa che abbiamo consiste proprio nel voler dare giustificazioni a tutti i costi.

Fare un figlio non è un fatto collettivo: non è un argomento di discussione, né tanto meno una questione suscettibile di valutazione. Non è qualcosa su cui gli altri possono arrogarsi il diritto di dare un giudizio di valore.
Fare un figlio è qualcosa che appartiene alla sfera intrinsecamente privata di un individuo, un fatto che gli altri – tutti gli altri – non dovrebbero mai permettersi di giudicare, ma soltanto di constatare.

Non esiste un bene e un male, quando si tratta di mettere al mondo un bambino. Non esiste un presto e un tardi, un giusto e uno sbagliato.

Gli altri non conoscono le tue difficoltà ad avere un bambino

Perché gli altri non possono sapere cosa si cela dietro una coppia che non ha figli.
Possono sussistere mille e più ragioni per cui in una famiglia non c’è la presenza di un bambino – e mi preme sottolineare che si è famiglia lo stesso, anche senza un bambino, perché la famiglia è data dall’amore che lega le persone, e non dal numero dei suoi componenti o dall’esistenza di un sigillo formale chiamato matrimonio.

Ma noi donne, no, noi ci sentiamo in colpa. Ci sentiamo fuori luogo, fuori tempo massimo: non rispecchiamo le aspettative che gli altri proiettano su di noi e questo, invece di essere un problema loro, diventa un problema nostro.

Allattamento al seno: scusatemi se non ci riesco

L’allattamento al seno è, a mio parere, lo scoglio più irto, la sfida più difficile, la prova più ardua che una neomamma si trova ad affrontare. Ci sono tante pressioni da reggere, tante aspettative da soddisfare e tante variabili che troppo spesso non vanno per il verso giusto.
Leggi Anche: Allattamento al seno, 5 consigli pratici

La frustrazione di non poter allattare tuo figlio

Come è successo a una mia cara amica, costretta a rinunciarvi a causa dalle ragadi al seno. Me lo comunicò rammaricata, si sentiva sconfitta, incapace di far fronte ai bisogni di sua figlia. «Ci ho provato» mi disse con la voce quasi spezzata dal pianto «ma proprio non ci riesco. Avrei voluto tanto, ma non ce la faccio».

Cercai di consolarla, di darle forza, fiducia.  «Ci sono altri mille modi in cui puoi trasmettere amore a tua figlia», provai a rincuorarla. Non fece lo stesso una persona della sua cerchia familiare che, invece di farla sentire una madre capace nonostante il mancato allattamento al seno, le rivolse queste testuali parole: «non mi sarei mai immaginata che andasse a finire in questo modo».

Detta in altri termini: visto che non allatti, qualcosa finisce. Ma cosa finiva, nello specifico?
La sua capacità di essere una buona madre, forse? La sua appartenenza alla categoria delle supermamme, laddove le mamme che ricorrono alla formula sono da considerarsi  mamme di serie B?

Voglio dire: credo che per una neomamma sia già sufficientemente frustrante non sentirsi “abbastanza” per il proprio figlio, “non sufficiente” per le sue esigenze; che bisogno c’è, allora, di rincarare la dose e demonizzare il ricorso all’allattamento artificiale?

Neomamme e tempo libero

E poi c’è la questione tempo libero o tempo “per te stessa”  – ovvero quelle brevissime parentesi temporali in cui non sei a totalmente assorbita dal tuo bambino. Che essere a completa disposizione di tuo figlio è meraviglioso e appagante e tutto quanto, ma a volte può essere anche molto, molto, stancante.

Quando a pochi mesi dalla nascita di Greta decisi di tornare a fare un pò di esercizio fisico, in molti si rivolsero a me con tono esterrefatto: «Torni già in palestra? Ma come, te la senti di lasciare tua figlia da sola

Per alcuni istanti le mie convinzioni vacillarono, poi, però, pensai: 1) non lascio mia figlia, la affido a chi può prendersi cura di lei al posto mio; 2) mia figlia non rimane da sola, semplicemente non sarà con me per un’ora nell’arco di un’intera giornata che trascorriamo in simbiosi; 3) Ma chi cavolo siete voi per dirmi «torni già in palestra?»

Come se ciò che noi neomamme facciamo non bastasse mai.

Come se non bastasse cambiare pannolini a ripetizione, togliere il moccio dal naso, collezionare sonde rettali, pulire i rigurgiti, ninnare, cullare, e poi di nuovo allattare, ripulire e riaddormentare;  e nel contempo: lavare, stirare, spolverare, preparare cena, vestirsi decentemente, farsi la ceretta, magari pure il colore ai capelli (perché il rapporto di coppia non deve essere trascurato, giusto?), accogliere parenti e amici spesso invadenti e fare addirittura la pipì  (di solito con la pupa in braccio).

Come quando una sconosciuta mi ha urlato “Vergognati”

E tutto questo ventiquattro ore su ventiquattro, sette giorni su sette, senza ferie, permessi retribuiti e congedi per malattia.

Dedicatevi tempo, non è un reato

Ma, allora, è davvero così deplorevole volersi concedere un ritaglio di tempo per se stesse? Desiderare, ogni tanto di sentirsi altro che non una neomamma a tempo pieno?

Potrei andare avanti con tanti altri esempi: se torni a lavorare allo scadere della maternità obbligatoria e lasci tuo figlio di pochi mesi all’asilo nido, sei una mamma che pensa più alla carriera che non alla famiglia; se, però, posticipi il rientro a lavoro fino al suo primo, pure secondo, anno di età, sei una mamma chioccia incapace di educarlo all’autonomia.

Se lo prendi immediatamente in braccio al suo primo accenno di pianto, sei una mamma ad alto contatto destinata a viziarlo, ma se lo lasci piangere per più di due minuti consecutivi, sarai responsabile delle sue insicurezze future.

In ogni caso, noi mamme sbagliamo.

Tutto questo per dire che noi neomamme siamo bravissime a rimproverarci dei nostri errori e delle nostre mancanze – di non essere abbastanza brave, abbastanza capaci, abbastanza pazienti, abbastanza premurose, abbastanza perfette insomma – ma è anche vero che chi ci sta intorno, troppo spesso, non ci è affatto d’aiuto, come se instillare il senso di colpa fosse il divertimento preferito di chi ha a che fare con una mamma alle prime armi.

Ecco, allora un messaggio per “gli altri” – parenti, amici, conoscenti, sconosciuti che ti fermano per strada e signore di una certa età appollaiate come gufi ai terrazzi condominiali: le parole sono importanti, vanno scelte e dosate con tatto e saggezza, non sputate fuori a casaccio. Quando parlate, fateci caso.

Ed ecco un messaggio pure per noi, care donne e mamme così difettose: ogni tanto, diamoci una pacca sulla spalla l’una con l’altra e diciamoci che siamo buone madri; e quando capita di sentirci madri di merda, ricordiamoci a vicenda che sono i sensi di colpa a parlare.

I nostri figli, di noi, non direbbero la stessa cosa.

 

PAOLA

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TAG:
figli mamme sensi di colpa

ultimo aggiornamento: 03-11-2019


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