La notoria fuga di cervelli, cioè di giovani italiani e italiane che lasciano il Paese per lavorare all’estero, ha un valore anche economico oltre che sociale. Secondo i dati forniti dall’ex ministro dell’economia Giovanni Tria durante l’evento sul digitale svoltosi il 17 luglio 2019 presso la Business School dell’Università LUISS, ogni anno l’Italia perde poco meno dell’1% del PIL, o, in termini monetari, 14 miliardi di euro. Gli stessi dati (16 miliardi di euro) sono poi stati confermati ad ottobre 2019 dalla Fondazione Moressa nella presentazione del 9° Rapporto annuale sull’economia dell’immigrazione, in cui si poneva l’accento sul numero di giovani italiani che hanno abbandonato il Paese negli ultimi 10 anni: 250mila. Come mai si è arrivati a porsi la domanda su quanto valgano i nostri giovani emigrati all’estero, soprattutto da un punto di vista economico? Probabilmente perché la loro mancanza è più evidente che negli anni passati e l’incidenza del fenomeno sull’economia reale è ben più marcata, in una fase in cui il PIL nazionale stenta ad elevarsi sopra lo “zero virgola” punti percentuali, incidendo non poco sulle scelte fatte dal governo nazionale.

L’impatto della fuga degli italiani all’estero nei mercati finanziari

La fuga di giovani italiani e italiane all’estero ha un impatto economico anche sui mercati finanziari? Ebbene sì, seppure indirettamente. Come scrivevamo, i giovani italiani portano all’estero le competenze maturate sul territorio natio e questo per il sistema Italia è una perdita notevole, soprattutto in quanto tutto ciò avviene in un periodo storico in cui l’economia italiana cresce davvero poco: l’1% in più sul PIL fa la differenza anche in termini di scelte di politica economica. L’indirizzo dato dalla politica economica di un Paese, poi, ha effetti sui mercati finanziari e di riflesso sulle scelte d’investimento di chi vuole comprare azioni di una qualsiasi delle società quotate alla Borsa di Milano. Un ulteriore “effetto economico-finanziario”, questa volta non quantificabile, può essere preso in considerazione quando trattiamo l’argomento della fuga di cervelli, ovvero la mancata nascita di imprese che nel giro di alcuni anni potrebbero diventano quotabili in Borsa attraverso una IPO.

Le competenze perdute

Come riescono enti di ricerca, fondazioni e alte cariche dello stato a quantificare la perdita economica derivante dai giovani italiani trasferitisi all’estero? Perché le emigrazioni di questi anni, a differenza delle storiche emigrazioni di fine ‘800, oppure quelle post prima e seconda guerra mondiale, riguardano giovani con alte conoscenze accademiche: sono ingegneri, architetti, promesse della cucina italiana, matematici, ricercatori in ogni campo scientifico e tecnico. All’estero li troviamo impegnati come professori universitari, inseriti in aziende con ruoli manageriali, creatori di nuove imprese di successo, oppure ancora ricercatori che brevettano nuove scoperte e tecnologie a beneficio dei Paesi che li hanno accolti. Tutto ciò si traduce in dati quantificabili e ha permesso agli istituti di ricerca socio-economica di scoprire il reale il valore economico dei cervelli in fuga dall’Italia.

L’inversione di tendenza

Una nota positiva che è importante sottolineare riguarda il decreto crescita 2019, convertitosi poi nella legge n. 58 del 2019. L’articolo cinque “Rientro dei cervelli” della legge prevede agevolazioni fiscali importanti per ricercatori e docenti universitari che rientrano in Italia e per i lavoratori che nei due anni precedenti il periodo di imposta in corso avevano residenza in uno stato estero. Le agevolazioni sono molte e tutte volte a favorire un loro rientro in Italia, per contribuire alla crescita del Paese dove si sono formati.

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economia

ultimo aggiornamento: 20-01-2020


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