Il Partito Democratico di Viareggio boccia la proposta per il mercato di piazza Cavour. “Un provvedimento di fine legislatura. Sette milioni di euro per quarant’anni: una cifra che non convince. Il ‘piazzone’ di Mario Tobino va restaurato con denaro pubblico e mantenuto sotto il controllo dell’amministrazione comunale”. Luca Poletti, capogruppo in Consiglio comunale vota contro: “Una delibera che manca di pareri tecnici essenziali e che di fatto dovrà ritornare in consiglio comunale che di fatto lascia totale potere decisionale al gestore su tipologie commerciali, tipo di eventi e relativo pagamento dei costi senza nessuna possibilità di condivisione. Oltre tutto, per una decisione così importante servirebbe un ampio coinvolgimento dei cittadini, un vero processo partecipativo”. L’assemblea dell’Unione comunale del Partito Democratico di Viareggio, convocata in modalità video a distanza e molto partecipata, ha affrontato il tema del progetto di ristrutturazione di piazza Cavour, che stamani è stato proposto da alcune delibere in Consiglio comunale e all’unanimità, lo ha respinto all’unanimità con una serie articolata di motivazioni, sintetizzate nel documento che segue. “Cedere un bene cittadino per 40 anni a un privato è come strapparlo via, elidere drasticamente un rapporto che è molto di più di un bene suscettibile di valutazione economica. Nel 2013 e poi ancora nel 2015, eravamo convinti che quel luogo del cuore avesse bisogno di tornare a pulsare nel centro città: l’idea che avevamo era quella di uno sviluppo ed un restauro in cui si rendesse omaggio alle curve liberty del Belluomini, alle passeggiate di Mario Tobino, coniugate con un restauro moderno, in chiave europea, in cui lo sviluppo dell’architettura si coniugasse con il passato, con la sua arte, con la sua storia. Non era utopia: il denaro, per dar vita ai sogni, si trova (pensate a come Lucca ha finanziato il complesso di San Francesco o le mura stesse). Pensare di consegnare un luogo del cuore ad un imprenditore con un provvedimento di fine legislatura che presenta numerose carenze tecniche e legali, appare oggi come voler levarsi di dosso un ‘pensiero’ o magari staccare il ticket per la campagna elettorale. Il mercato restaurato coi soldi pubblici non è un’utopia, basta volerlo, basta rimboccarsi le maniche: far risorgere il nostro luogo del cuore per regalarlo ai viareggini del futuro. Purtroppo, invece, dal 2015 il disegno è stato diverso: nel novembre 2016, appena rientrata dopo la sentenza del Consiglio di Stato, la Giunta decise di annullare la delibera del Commissario Prefettizio, Stelo, che prevedeva un bando per riassegnare i fondi sfitti del mercato di P.zza Cavour. Infatti l’idea di questa Amministrazione è sempre stata quella di affidare il progetto di riqualificazione del Mercato ad un unico soggetto privato, escludendo in tal senso qualsiasi altra ipotesi. Piano piano quel luogo del cuore è diventato un “non luogo”. Impossibile non vedere come, negli ultimi cinque anni, anche la flebile fiammella rimasta accesa nel quadrato di piazza Cavour sia stata spenta, come se il desiderio recondito dell’Amministrazione fosse quello di vedere sempre meno operatori attivi. Quindi arriviamo all’oggi con la proposta di dare ad un imprenditore privato tutto il mercato cittadino, per 40 anni, alla modica cifra di 7 milioni di euro e, come se non bastasse rilanciamo pure con il parcheggio dell’ex gasometro (che diventerà privato, 24 ore su 24) ed un cadeau di un milione di euro pubblici Sette milioni di euro per quaranta anni equivalgono a circa 14.600 euro al mese: possibile che un comune, uscito dal dissesto (uscita sbandierata a più riprese), in buoni rapporti con Fondazioni bancarie e Regione, non potesse trovare ed investire questa somma esigua per restaurare il suo cuore pulsante e donarlo ai viareggini? E’ possibile che si sia optato per mantenere pubblico il porto e non si intenda lottare per ridare a Viareggio il suo luogo del cuore? Cosa ci guadagna la città di Viareggio? A leggere le parole del ragioniere capo si tratta di un’opera anti economica per i contribuenti che perdono un bene per 40 anni e non introitano assolutamente niente (se non l’Imu) che compensi l’immane perdita.
