VIAREGGIO. Stefano Dinelli non parla. Lascia che siano mister e giocatori a prendersi la scena di fronte ai tifosi prima ed ai giornalisti poi. Vedere la sua squadra vincere e divertire in uno stadio dove se si raggiunge quota mille spettatori c’è da gridare al miracolo non lo rende felice e non gli permette di godersi quanto di buono il Viareggio sta facendo in questo primo scorcio di stagione.

Cartolina a Pistoia. Il presidente si cuce la bocca, evidentemente. Ma trattandosi di una persona non in avanzato stato di senilità e piuttosto all’avanguardia, ha deciso di affidarsi ai social media – Facebook nel caso specifico – per esprimere il suo stato d’animo. Un paio d’ore dopo la vittoria sul Catanzaro Dinelli ha scritto: “Oggi è stata una bella giornata di sport che ha dimostrato che la sensibilità ed il buon senso da anni mancavano ai Pini. E così, grazie a chi oggi gestisce l’ordine pubblico con intelligenza, abbiamo visto oltre agli irriducibili tifosi viareggini una tifoseria esempio di sportività che altrimenti difficilmente avrebbe potuto vedere la nostra città. Cartolina a Pistoia”. A buon intenditor…

Il desiderio del presidente bianconero, di chi lavora con lui e di chi tiene al Viareggio è quello di vedere uno stadio “dei Pini” con più pubblico, più tifosi, più calore. Il “tutto esaurito” è forse un’utopia, ma la triste realtà è che anche sperare di togliere alcune di quelle enormi chiazze di vuoto in gradinata non sembra, al momento, un traguardo facilmente raggiungibile.

(foto Andrea Zani)

Dieci e lode ai tifosi del Catanzaro. Erano poco più di un centinaio, tutti sistemati nel settore ospiti. E anche quando la loro squadra era sotto di due gol e di un uomo, loro – tutti uniti nella fede verso i colori giallorossi – hanno intonato cori e incitato sino alla fine i giocatori in campo. Una partita nata male e finita peggio per il Catanzaro, ma loro, gli irriducibili, hanno vinto. Perché di problemi all’ordine pubblico non ne hanno causati e perché hanno fatto capire una volta di più che il tifo vero esiste ancora e non necessariamente deve essere sinonimo di tensioni o violenza.

Predicare nel deserto. Un voto alto, molto alto, lo meritano anche i tifosi del Viareggio. Se ne stanno in tribuna laterale, quella lato Torre del Lago: non sono ultras, ma cantano e cercano di trascinare i bianconeri. I giocatori lo sanno, se ne sono accorti anche stavolta e lo hanno pure fatto presente, come il capitano Lorenzo Fiale. Ci provano in tutti i modi, sempre sui social media, a convincere la gente a venire allo stadio. La buona volontà non manca, ma vedendo il numero di spettatori presenti ai “Pini” è evidente che da sola non è sufficiente.

Tra santi e falsi dei. In città anche gli scettici si stanno rendendo conto di quanto il Viareggio stia sorprendendo, tanto da meritare un po’ di fiducia. Traduzione: nell’andare allo stadio a vederlo e, possibilmente, tifarlo. Poi ci sono viareggini che – sempre per scomodare nuovamente Facebook – quasi si appropriano a indebitamente dei successi delle zebre, usando “noi” come soggetto, quasi ad indicare un’empatia tra loro e la squadra che, in realtà, non c’è mai stata e, probabilmente, mai ci sarà.

E parliamo degli stessi che, quando il Viareggio perderà – e può succedere, anche più di una volta, visto che stiamo parlando di una formazione che come obiettivo ha la salvezza -, punteranno il dito e criticheranno a sproposito, come se fosse qualcosa di dovuto vedere il Viareggio ad un punto dalla vetta in Prima Divisione.

Foto Simone Pierotti

E gli ultras che fanno? La domanda più appropriata, forse, è: “Ma gli ultras ci sono ancora?”. Scordiamoci i fasti del passato, quelli dei treni speciali in tutta Italia, delle trasferte in motorino quando il Viareggio giocava a Bozzano o a Forte dei Marmi, quelli della gradinata dei “Pini” sempre piena con gli ultras pronti a sgolarsi per quella che ritenevano una ragione di vita. Voltarsi indietro a ricordare i tempi che furono è inutile e deleterio: i gruppi del tifo organizzato si sono sciolti dopo i decreti contro la violenza negli stadi e l’imposizione della Tessera del tifoso. Essere schedati, per loro, è una privazione della libertà. Della libertà di tifare per il Viareggio con bandiere e striscioni. Per loro questo calcio è robaccia e allo stadio non ci vanno più. Da lontano e silenziosamente l’amore per i bianconeri lo manifestano ancora, è vero. Ma questo sentimento, per quanto ammirevole, è fine a se stesso.

Modello inglese. Fin troppe volte il Regno Unito viene decantato, anche con un pizzico di demagogia, come un esempio da seguire quanto a misure di sicurezza e gestione degli stadi. Ma il tema non si può certo sviluppare in due righe e tante sono le differenze tra i due paesi. Anzi, calcisticamente parlando l’Inghilterra ha dovuto fare i conti con un passato ben più doloroso e ingombrante – vedi gli anni Ottanta dei lanci di banane in campo all’indirizzo dei giocatori neri e della strage di Hillsborough – del nostro.

Chi scrive ha avuto l’onore di raccontare partite di calcio in Inghilterra, dalla Champions League alla terza e quarta divisione. Ebbene, ciò che balza all’occhio, oltre agli stadi confortevoli e privi di barriere, è la cultura sportiva degli inglesi. Che, salvo rare eccezioni, tifano per la squadra della loro città, sia essa uno sperduto villaggio o una sconfinata metropoli, senza badare al blasone o alla posizione in classifica.

Riflessioni amare. E allora, quando Gazzoli compie un miracolo, Fiale chiude in scivolata su un avversario, Pizza recupera un pallone in mediana o Magnaghi segna un gol decisivo, tutto si ridimensiona, anziché amplificarsi. Perché lo stadio “dei Pini” è “vuoto”. Seicento, ottocento o mille (quando va bene) spettatori non possono colmare da soli una mancanza così lampante.

(foto Andrea Zani)

La nostra sarà, forse, retorica, ma al momento i motivi di spensieratezza per la città arrivano, principalmente, da Carnevale e sport. Nel primo caso c’è una manifestazione che, nonostante tutto, ha ancora un forte ascendente sui viareggini, nel secondo ci sono squadre e atleti stanno portando il nome di Viareggio in giro per l’Italia e per il mondo, dall’hockey al nuoto, dal basket al beach soccer. E meritano l’appoggio della città.

L’appello, in questo caso, non è rivolto a chi non è interessato di calcio o a chi vorrebbe venire allo stadio ma, complice la crisi economica, non può permetterselo. Ed è anche comprensibile che qualcuno trovi ingiusto sottoporsi ad una schedatura per andare a vedere una partita di pallone. Il messaggio, semmai, deve arrivare a quanti la domenica preferiscono sprofondare in poltrona e guardarsi partite su partite, interviste su interviste, disquisizioni su disquisizioni. Perché il Viareggio è nella terza divisione nazionale, è la prima squadra dell’intera Provincia di Lucca e annovera pure qualche salmastroso purosangue o, come nel caso di capitan Fiale, d’adozione.

È ancora troppo presto per asserirlo con certezza, ma quella appena iniziata potrebbe essere una stagione ricca di soddisfazioni per le zebre. Qualcosa da ricordare con il trascorrere degli anni, da rivivere mentalmente con gli occhi che si inumidiscono. Allenatore e giocatori stanno assolvendo il proprio compito. Ora, però, tocca ai tifosi da poltrona “dassi da fa’ “. E dimostrare con i fatti la loro tanto ostentata “viaregginità”.

Gabriele Noli
Simone Pierotti

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