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Una villa da 3,4 miliardi. Dopo lunghe trattative con Bolla, la Provincia perfeziona finalmente l’acquisto di Villa Argentina il 19 febbraio 2001, quando il consiglio provinciale approva l’operazione da tre miliardi e 400milioni di lire: l’edificio diventerà il Palazzo del Turismo e della Cultura dell’ente e ospiterà un centro di studi sul liberty e un laboratorio di ceramica. Nel frattempo – è il 23 ottobre 1999 – la Provincia ha siglato a Roma un protocollo d’intesa con Comune e Ministero dei Beni Culturali, grazie all’interessamento del sottosegretario Carlo Carli: il Governo finanzierà il restauro con tre miliardi di lire.

Intanto dagli archivi del Comune emerge una verità sconcertante: Villa Argentina non ha mai avuto il vincolo a destinazione alberghiera, autentico cavillo dell’intera vicenda. Nessuno aveva mai effettuato la verifica e così, per anni, l’amministrazione comunale ha tergiversato sulla possibilità di revocare un vincolo che, di fatto, era inesistente.

Primi dubbi. Pochi mesi dopo il passaggio di proprietà arrivano i tre miliardi promessi dal Ministero e il 18 aprile 2002 si apre il cantiere a Villa Argentina: i lavori termineranno entro due anni. I primi interventi riguardano le ceramiche di Chini sulle pareti esterne e il giardino: una volta completati, i ponteggi spariscono da Villa Argentina per poi materializzarsi nuovamente in autunno. Per la ristrutturazione, infatti, dovrà essere indetta una gara a normativa europea, mentre è stato appaltato a parte il rifacimento del tetto, considerato un provvedimento di stretta urgenza. Qualcuno, in città, recita però il ruolo della cassandra di turno. E teme che i lavori vengano sospesi.

Foto Sailko (Wikipedia)

Il 2003 si apre subito con le rassicurazioni del professor Guglielmo Malchiodi della Soprintendenza: le maioliche, le pitture parietali e le piante ornamentali importate a suo tempo dal Sudamerica sono già sistemate e anche il tetto è stato riparato. Manca solo la gara d’appalto per il secondo – e ultimo – lotto dei lavori. Basta e avanza per dar vita il 7 febbraio al Caffè Margherita alla festa per celebrare la rinascita del palazzo, organizzata dall’associazione “Amici di Villa Argentina” presieduta dall’avvocato Parenti.

Beata negligenza. A dicembre i lavori si fermano nuovamente. Non per penuria di fondi, però: manca la concessione edilizia che il Comune di Viareggio non ha rilasciato. “A noi non è comunque arrivata nessuna richiesta”, fa sapere dal municipio il dirigente Franco Allegretti. Inizia il primo scaricabarile di responsabilità: si dice che fosse compito della Soprintendenza, responsabile e appaltatrice dei lavori, presentare la domanda al Comune. E intanto, a Palazzo Ducale, un consigliere provinciale di Forza Italia presenta un’interrogazione sullo stato dei lavori: il suo nome è Luca Lunardini.

Poco prima delle vacanze di Natale, la Soprintendenza comunica di aver inviato al Comune una Dichiarazione di Inizio Attività (Dia), con tanto di progetto esecutivo e richiesta di concessione edilizia. E ribatte: “L’autorizzazione non era necessaria: Villa Argentina è un bene demaniale e sono proprio le Belle Arti a esprimere parere vincolante sul restauro.” E, immediatamente dopo le festività, i lavori riprenderanno regolarmente.

(2 – continua)

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