“Laddove ieri potevi entrare, domani troverai chiuso… “Happening” privato, in spazio pubblico, in corso…” Questo scrive Fabio Simonini, Pietrasanta Indipendente, che prosegue:

“Quando scorci di città, luoghi simbolo, opere d’arte, musei, spazi pubblici, si “affittano” ai privati, chiunque essi siano, viene meno la loro funzione nella città, nella comunità, nel tessuto sociale.
Viene meno il loro intrinseco valore “inclusivo”, come luogo di incontro, di condivisione, per divenire imbarazzante luogo “esclusivo”. L’apoteosi del chi può, e del chi non può, del medievale ostentare; la realizzazione compiuta di nuove gerarchie sociali, anacronistiche, o forse piu contemporanee che mai: chi è in lista può , chi non è in lista è fuori, chi conta conosce, se non conosci non conti, e non entri.

Il senso profondo del termine cittadino, si banalizza e perde di peso, di senso, si svuota di fronte a queste logiche, ci trasformiamo anche in questa sfera, in clienti -utenti.

Questo bisogno primordiale di appropriarsi, di “svendere”, il bene pubblico, lo stigmatizzare che non esistono confini per chi ha possibilità, infinite, come il desiderio di fagogitare tutto quello che circonda, attraverso l’esigenza antropologica di erigere palizzate di esclusivita’, unisce ormai le sponde della politica nell’unico comune denominatore del “tutto ha un prezzo ed è alla portata”…

Questo è il parossismo della banalizzazione dell’appeal di una città, lo “svalutare” la sua anima, al “miglior” offerente, per il tempo di un aperitivo, di un compleanno, di una cena, di un evento…

Abbiamo perso la fiducia e la vera voglia di futuro, per questo viviamo di eventi mondani da bruciare in un secondo.

Una mercificazione del bene pubblico, che ci rende ancora una volta , infondo meno liberi…

Si lede nella pratica un principio costituzionale quale l’articolo 9, dietro il pilatesco: “gli enti pubblici hanno bisogno di soldi per mantenersi, e affittare a privati luoghi di libertà pubblica, che mai sarà?” …
Niente, se non che, decidiamo appunto, di essere meno liberi.

Il bene culturale e pubblico viene nella pratica, equiparato a qualsiasi altro bene di consumo, economico e ripetibile, e perde il titolo di patrimonio territoriale comune.

I soldi ci sono per valorizzare il nostro patrimonio comune, basterebbe saperli spendere, andando a individualizzare quelle che sono le vere priorità, e iniziando a disinteressarsi a questa legge del consenso a tutti i costi, che tanto male ha fatto, e continua a fare, al nostro paese.”

 

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