La decima edizione del Premio Barone è andata quest’anno alla dottoressa Alice Brotto dell’Università di Pisa per la tesi “The death of ancient Egyptian Gods: terminological and semantic analysis of literary evidence”.

Il Premio fu istituito 10 anni fa dal Rotary Club Viareggio Versilia su proposta di Fabrizio Saettone, in collaborazione con il Dipartimento di Filosofia dell’Università di Pisa, per ricordare Francesco Barone, Presidente del RCVV per l’A.R. 1976-77 e Governatore del Distretto 2070 per l’A.R. 1980-81. Filosofo ed epistemologo, Barone è considerato tra i maggiori protagonisti della cultura italiana del Novecento, attraverso i suoi studi e il suo insegnamento svolto all’Università di Pisa e alla Scuola Normale Superiore.

Quest’anno, alla sua decima edizione, il Premio Barone (€ 1.500) è stato assegnato al dott.ssa Alice Brotto per la tesi in egittologia su “The death of ancient Egyptian Gods: terminological and semantic analysis of literary evidence”.

La tesi è stata introdotta da una lettera della relatrice professoressa Marilina Betrò, assente – suo malgrado – per presidiare il primo convegno nazionale di orientalistica a Pisa. Nella lettera la Betrò parla dell’eccellenza di Alice Brotto e di molti studenti che da tutta Italia vengono a Pisa per svolgere la magistrale in Orientalistica.
L’idea provocatoria della tesi è stata ispirata dall’intelligenza e dalla propensione quasi irriverente ad una ricerca anti-conformista della laureanda: “nella terra dell’eternità, nella cultura dove Re e uomini anelano all’immortalità, alcuni testi sembrano dirci il contrario, affermare che in realtà, la morte regna sovrana e non risparmia neppure gli dèi”.

Il tema del dio morto è nato nel Novecento ed è stato affrontato da più filosofi e umanisti su un piano concettuale-astratto: Alice nella sua tesi lo affronta per l’antico Egitto e dimostra la mortalità degli dei attraverso testimonianze scultoree, rilievi murali, stele e opere letterarie, come i testi delle piramidi, i testi dei sarcofagi e i libri dei morti.

In particolare la tesi testimonia la morte terrena di Osiride re dei morti e di RA re del sole, esempi di due modalità di morte e resurrezione ante litteram: il primo abbandona il regno dei vivi e va a vivere eternamente nel regno dei morti; il secondo vive e muore eternamente nel regno dei vivi.

La morte terrena di Osiride e Ra non sono casi isolati, ma trova riscontro nelle morti di altre divinità del vicino Oriente antico: Adonis, Eshmun e Melqart in Fenicia, Attis in Frigia, Dioniso e Persefone nella Grecia Antica, Dumuzid e Tammuz tra i Sumeri, Marduk a Babilonia e Telipinu tra gli Ittiti.

La morte di Osiride per mano del fratello Seth trova riscontri in numerose testimonianze storiografiche dal 2300 A.C. al 200 D.C. con modalità diverse: nelle fonti egiziane si parla della morte per uccisione ma senza fare diretto riferimento a nomi specifici “Lui (Seth) colpisce chi ti (Osiride) ti ha colpito” oppure “tuo figlio ha fatto per te, ciò he Horus ha fatto per te”; solo Plutarco nel secondo secolo D.C. si permette di descrivere dettagliatamente i fatti che porteranno alla morte terrena di Osiride.

Un Osiride che muore ma che vive nell’eternità in un mondo diverso da quello terreno, che è proprio quello dei morti, quasi a giustificarne la fine terrena.

Un’altra divinità egizia che muore è RA, il dio sole, ma lo fa in maniera naturale, portando a compimento il ciclo della vita. RA/Atum invecchia (disegno dalla tomba di Ramses IX nella Valle dei Re) e muore, ma risorge con il nascere del nuovo giorno: esemplificativa una scena della tomba di Ramses, in cui il faraone fa offerte al sole, rappresentato da un cerchio all’interno del quale sono rappresentati lo scarabeo (nascita all’alba) e Atum (morte al tramonto).

RA, dunque, a differenza di Osiride muore ma rinnovandosi eternamente senza mai lasciare la vita terrena.

I due esempi affrontati, non sono le uniche divinità che muoiono: la tesi ricorda anche a) l’Ogdoade, ovvero l’insieme di otto divinità che esistevano prima della creazione e che risultano defunte nel pantheon di età tolomaica “…gli dei che riposano…”; b) la morte di Apophis per mano di Seth nel papiro di Djed-Khonsu-iuf-ankh, XXI dinastia (1069-945 a.C. ca) e c) la morte di Seth per mano di Horus nel rilievo dal tempio tolemaico di Edfu.

La dott.ssa Brotto è riuscita dunque a dimostrare la mortalità degli immortali dei egizi, dimostrando come tutte le religioni abbiano dovuto confrontarsi con il tema della mortalità e l’aspirazione all’immortalità attraverso divinità antropomorfe.

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ultimo aggiornamento: 08-06-2017


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