QUANDO L’OMBRA DEL ‘MOSTRO DI FIRENZE’

SI ALLUNGO’ SU VIAREGGIO E LA VERSILIA

Ventotto anni fa a Massaciuccoli due cadaveri e un mistero. Un giallo risolto? Oppure no…

Per due lunghissime e interminabili ore, a cavallo della mezzanotte di ventotto anni fa come oggi, una domenica su lunedì, mentre Viareggio e la Versilia entravano a tutto gas nella stagione estiva con divertimento e spettacoli, mentre l’ambizioso Viareggio calcio di Giorgio Mendella annunciava l’ingaggio dell’allenatore Enzo Riccomini, mentre il Cgc Viareggio era impegnato nelle elezioni per il rinnovo del consiglio direttivo, l’ombra del ‘mostro di Firenze’ (quello per intenderci che uccideva le coppiette di fidanzati appartati in strade di campagna soprattutto nei Comuni attorno al capoluogo toscano) si allungò anche sulla nostra zona: nella notte fra il 26 e il 27 giugno 1989, infatti in una vecchia cava dismessa di Massaciuccoli, sul confine fra il comune di Massarosa e quello di Lucca, vennero trovati da alcuni giovani escursionisti i corpi senza vita di un uomo e di una donna all’interno di una Lancia Delta: uno dei finestrini dell’auto era stato frantumato in mille pezzi. Agli inquirenti che arrivarono sul posto sembrò un’immagine fotocopia di quelle pubblicate dai giornali negli anni precedenti quando il ‘mostro di Firenze’ entrava tragicamente e brutalmente in azione, uccidendo e poi accanendosi sui corpi delle vittime, soprattutto sulle donne. Ma dopo centoventi minuti con il cuore in gola, con i cronisti in fibrillazione, con le redazioni centrali dei grandi quotidiani pronti a ribattere la prima pagina e a spedire nottetempo gli inviati di nera di punta in Versilia, il caso… si smontò. C’erano, purtroppo, sempre due persone con l’angoscioso mistero della loro fine, ma il ‘mostro di Firenze’ in questa vicenda non c’entrava per niente: addosso ai due corpi non c’erano ferite né d’arma da fuoco né da taglio, tra l’altro i due cadaveri presentavano già i primi segni di decomposizione, come se il decesso risalisse ad almeno dieci giorni prima. Nell’auto c’era un altro mistero: la presenza di un documento di identità di una terza persona scomparsa nel nulla. Per le due vittime, che gestivano un locale fuori provincia, il medico legale ipotizzò l’avvelenamento da ossido di carbonio. Suicidio. Ma il mistero, fittissimo, rimaneva: l’identità delle vittime venne accertata (‘siamo quasi sicuri’ dissero gli inquirenti) solo verso le 2. Ovviamente per scelta e per rispetto del dolore dei familiari dei due scomparsi, oggi i nomi restano nell’archivio della memoria. Ma quel drammatico episodio – rivisto a distanza di quasi un terzo di secolo – rimane ancora oggi, per chi l’ha vissuto o da inquirente o da cronista, con l’etichetta della ‘possibile’ impresa del mostro di Firenze, uno dei casi giudiziari più controversi dello scorso millennio non solo in Italia.

MA – viene da domandarsi – come andò a finire il giallo di Massaciuccoli? Cosa era accaduto per spingere due persone conviventi (l’autopsia confermò che la donna era in stato interessante al quinto mese) a farla finita? E fu veramente suicidio? Per gli inquirenti la risposta è sì anche se qualche aspetto della vicenda non è stato chiarito al cento per cento, Per arrivare alla ricostruzione, la più logica possibile, fatta dagli investigatori bisogna fare un passo indietro di due settimane:  una domenica mattina, l’11 giugno, sulla via Pietra a Padule a Massaciuccoli, venne trovato un uomo sui 35 anni, in stato di semi-incoscienza, malmesso, abiti stracciati, che non ricordava niente. Borbottava un nome e un cognome, il suo, che non dicevano nulla anche perché in tasca non aveva alcun documento. Sicuramente una persona che non stava bene, alle prese con una grave forma di amnesia retrograda che nessuno nella zona di Massaciuccoli conosceva, come se fosse arrivato in via Pietra Padule paracaduto da un altro mondo.

Forse qualcuno ha già intuito quale può essere il legame fra questo stranissimo ‘incontro ravvicinato di terzo tipo’ (l’uomo venne ricoverato in ospedale e dopo un paio di giorni di indagini fu possibile arrivare all’identificazione: l’amnesia rimase, lui continuava a stare male) e il ritrovamento dei due corpi nella cava di Massaciuccoli, due settimane dopo…: la misteriosa carta di identità ritrovata nell’auto delle vittime apparteneva proprio all’uomo senza nome trovato lungo la via Pietra a Padule, quindici giorni prima. E fu abbastanza facile a quel punto per gli inquirenti ricostruire l’esistenza di legami di amicizia e di affari fra le due vittime (che avevano contatti di lavoro anche a Viareggio) e l’uomo senza nome. Legami di lavoro e non, amicizia & affari che probabilmente avevano preso una piega non prevista tanto da decidere ad un certo momento di farla finita. Assieme, i due conviventi e il loro amico e socio. Senza un perché o con tanti perché? Mistero fitto senza una ‘confessione’ ma con l’ipotesi più credibile che una volta deciso di farla finita trasformando l’auto in una camera a casa, per l”uomo senza nome’ (il più giovane) abbia prevalso l’istinto di sopravvivenza e sia fuggito, lasciando gli amici-soci in affari al loro destino senza ritorno. Una notte indimenticabile con l’ombra del ‘mostro di Firenze’ e un giallo (risolto? irrisolto?) che punteggiano dal vero la storia noir di Viareggio e della Versilia.

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