L’omelia del vescovo nel giorno di San Paolino:
“La liturgia della Chiesa fa oggi memoria di San Paolino e dei primi santi evangelizzatori di Lucca e del suo territorio. Una domanda s’impone perché la festa del nostro patrono non sia una formale ripetizione annuale: cosa sarebbe la nostra città e il suo territorio visibilmente segnato dal cristianesimo, dai segni cristiani impressi nelle sue chiese e soprattutto nella nostra cultura, se fossero mancati questi originari testimoni di Vangelo? Un’altra domanda – prosegue l’omelia – che ci responsabilizza personalmente, sia come comunità ecclesiale che civile, deve oggi inquietarci: quanto la nostra generazione è disponibile, senza ricorrere alla scusante ricorrente dei ‘tempi difficili’ che stiamo transitando, a tenere alto il Vangelo e tutto il contesto valoriale che generazioni e generazioni che ci hanno preceduto hanno giorno dopo giorno elaborato e a noi trasmesso? L’immagine di San Paolino, che porta sulla sua mano sicura la riproduzione dell’icona della nostra città – continua Castellani – da una parte ci rassicuri per la sua protezione ma dall’altra ci stimoli a riassumere la nostra testimonianza cristiana senza se e senza ma nell’oggi, con l’impegno a passare il nitido, non sbiadito o insapore testimone di Vangelo alle generazioni di oggi quindi di domani. Il nostro è un paese, una città e una Chiesa diocesana, sicuramente da ‘ripensare’. Cito da un editoriale di un quotidiano di domenica scorsa, dal quale mi sono sentito personalmente provocato, come successore di San Paolino, questa considerazione: ‘L’Italia, com’è oggi, è a un passaggio critico della sua storia. Un passaggio nel quale stanno scomparendo alcuni tratti di fondo della sua antica identità. Alla generazione che oggi ha vent’anni e quelle successive toccherà dunque costruire un Italia nuova da ciò che rimane di quella che oggi declina’. Nelle espressioni citate ‘stanno scomparendo alcuni tratti di fondo della sua antica identità’, leggo tutta la nostra responsabilità di comunità cristiana per non avere costantemente coniugato, nella vita personale e sociale, lo stretto e inscindibile rapporto tra Vangelo e vita: il Vangelo che cresce con noi ogni giorno, con la nostra città e il suo territorio, fa storia. È questa la scommessa – incalza Castellani – a cui ci richiama la Parola di Dio appena ascoltata, che nel salmo ci riaffida questo mandato: ‘Annunzieremo ai popoli la salvezza del Signore’. Un annunzio inverato dalla vita, con la vita e nella vita quotidiana ove ‘lampada ai nostri passi’ è Gesù Cristo, Vangelo di Dio. È la strada sulla quale in questi anni ho impegnato me stesso, forse non in modo esemplare, e la nostra amata Chiesa di Lucca, sentendo fortemente la responsabilità di evangelizzare sul testimone di San Paolino”.
Dopo questa premessa, il vescovo ha desiderato sottolineare due fatti, “perché la Parola di Dio rifulga sulla nostra città e sul suo territorio, perché il Vangelo innervi e dia senso alla nostra vita quotidiana personale e sociale: le lettere consegnate in questi giorni alle nove zone pastorali della diocesi e la nostra scelta e lettura del fenomeno migrazioni, alla luce del Vangelo”.

Le lettere pastorali
“In questi anni, proprio per la festa di San Paolino, ero solito affidare una lettera a tutta la diocesi per un cammino unitario. Quest’anno le lettere personalizzate alle singole zone, nate da un lungo ascolto e incontri con le nostre comunità sul territorio, tracciano un cammino perché le nostre comunità escano dal ‘si è sempre fatto così’ e ritrovino la gioia del Vangelo che fa ‘nuove tutte le cose’, la nostra vita personale e sociale. È questa una scommessa alta – osserva il vescovo – che rende bella la vita di tutti e di ciascuno, rispondendo a quella sete di verità, pienezza e assoluto che tutti, più o meno consapevolmente, ci portiamo nel cuore. Si tratta di mettersi, ‘senza indugio’, su questa prospettiva. Pur nell’avvicendarsi dei pastori al servizio delle comunità, le comunità restano, con il loro cammino. Questo vale per ogni parroco e per ogni vescovo, quindi anche per me. Si tratta di leggere e accogliere in questo nostro tempo, che porta con sé una inevitabile purificazione anche per il calo di vocazioni presbiterali, che richiede preghiera e rinnovato impegno testimoniale di tutte le vocazioni che sono dono di Dio alla Chiesa, superando il clericalismo che punta tutti i riflettori sul prete o sul Vescovo e oscura la comunità per ridonare identità, giusta collocazione, al presbitero, al vescovo, ai fedeli laici e alla comunità. È necessario stabilire l’essenzialità e ridisegnare l’identità non solo personale, ma di ogni organismo e di ogni comunità. Ogni comunità è chiamata a diventare ‘tutta ministeriale’, ove ciascun membro – continua – mette i propri doni battesimali a servizio della comunità, e quindi tutti corresponsabili della sua edificazione e dell’evangelizzazione del territorio in spirito sinodale, come dall’esperienza vissuta in questi anni. Anche la responsabilità, recentemente assegnata ai consigli parrocchiali per gli affari economici nelle ‘visite amministrative’ per aree sinodali, è figlia di questo cammino di ‘riforma’ della nostra Chiesa chiamata a concentrarsi sull’essenziale: un rinnovato ascolto della Parola di Dio, a partire da una gioiosa e partecipata celebrazione dell’eucaristia nel giorno del Signore, da cui scaturisce naturalmente la ‘testimonianza’ della carità in risposta a tutti i bisogni e povertà materiali, spirituali, educative di ogni fratello e sorella.
Questa – conclude il vescovo – è la ‘novità’ dello Spirito che muove le lettere indirizzate alle zone pastorali, nelle quali le singole comunità di un determinato territorio potranno trovare un percorso sereno e sicuro in avanti”.

Le migrazioni
“Devo riconoscere che Lucca e il suo territorio, nel suo insieme, ha risposto bene, rispetto ad altre realtà, nell’accoglienza dei migranti. Nel ‘fenomeno migrazioni’ vedo simbolicamente e realmente ogni ‘periferia esistenziale, culturale, educativa’ dei nostri giorni, povertà materiali e spirituali che non possiamo far finta di non vedere o voltarci dall’altra parte. Più volte, in piena sintonia e comunione con Papa Francesco, sono ultimamente intervenuto su questi temi ‘sensibili’ al Vangelo. A conclusione del convegno ecclesiale, che abbiamo celebrato l’11-12 giugno scorso, su un tema di grande attualità, L’altro: inferno o paradiso?, feci questo accorato appello che rinnovo in questo momento alto di vita ecclesiale e sociale. Credo che una Chiesa, la nostra Chiesa di Lucca – afferma Castellani – non possa rimanere muta di fronte a quello che sta avvenendo, con i migranti lasciati in balia del mare e con i porti del Mediterraneo chiusi, mentre coloro che hanno la guida del nostro paese si rifiutano ostinatamente di accoglierli, aspettando che lo facciano altri. È una decisione che un cristiano non può accettare. È di spettanza propria di chi governa maturare scelte politiche, reali percorsi d’inclusione sociale dei rifugiati, adulti e soprattutto minori non accompagnati, sino ad oggi svolti per lo più dalla Caritas diocesana e generosamente dalle nostre comunità. Chiedevo e chiedo ancora una volta di dissociarci apertamente da tali scelte e dichiarare che ogni uomo, la persona, è al primo posto, non è un numero, a prescindere dalla sua provenienza, appartenenza sociale e culturale. In questa sede, alla luce della Parola di Dio ascoltata, mi sta a cuore ricordare – continua il vescovo nella sua omelia – che per noi cristiani il Vangelo è l’unico criterio per le nostre scelte. Esso indica ripetutamente la via dell’accoglienza dello straniero e della condivisione dei beni con i poveri. Dice infatti Gesù: ‘Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero straniero e mi avete ospitato’. Per il suo carattere universale, il Vangelo non può mai essere sottoposto ad un uso strumentale, piegato a fini propagandistici o ancor meno ridotto a segno di ‘esclusiva’ appartenenza etnico-nazionale. Auspico e invito tutte le nostre comunità, come viene ben sottolineato nel recente documento ecumenico delle Chiese cristiane di Viareggio, a vigilare sulla difesa dei diritti umani (in mare e sulla terra ferma) e ad essere aperte all’accoglienza dell’altro e dell’altra, aprendo i propri spazi e le proprie strutture per costruire progetti di accoglienza di condivisione e inclusione. Si, questo è il momento, come nelle nostre comunità sta avvenendo, del passaggio dall’accoglienza all’inclusione dei nostri fratelli immigrati, con la possibilità di apprendere la nostra lingua, aprire percorsi di studio e di lavoro, condividere la richiesta e l’incontro tra diverse culture e testimonianze di fede. Affido a San Paolino e ai primi evangelizzatori della nostra terra questa sfida a scrivere con l’inchiostro indelebile di una vita vissuta secondo il Vangelo una pagina di nuova evangelizzazione nella nostra città e il suo territorio”.
“Nel solco della tradizione – conclude il vescovo – mentre saluto il prefetto, la dottoressa Simonetti, e tutte le altre autorità civili e militari, rappresentanti delle istituzioni presenti, voglio leggere come auspicio a un cammino condiviso nella direzione detta, il gesto simbolico e significativo del sindaco di Lucca, professor Tambellini, che ha offerto il cero votivo a San Paolino e del sindaco di Camaiore, avvocato Alessandro Del Dotto, che nella turnazione tra Comuni ha offerto l’olio per la lampada, che arderà per tutto l’anno davanti all’immagine di San Paolino”.

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Lucca omelia san paolino vescovo

ultimo aggiornamento: 13-07-2018


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