La nuova figura giuridica dello Straining in materia di lavoro

Con l’ordinanza n. 18164 del 10 luglio 2018 la Cassazione ha affermato che introdotta una domanda di risarcimento per danni patrimoniali e non derivanti da mobbing sul luogo di lavoro ed accertata in giudizio solo la sussistenza di condotte isolate o comunque non plurime, né protratte per un lasso considerevole di tempo e anche se non tenute insieme da un intento persecutorio o di marginalizzazione del dipendente, ben può il giudice accogliere la pretesa risarcitoria fondandosi sul l’esistenza di una condotta di straining.

Anche se la Cassazione affronta principalmente un problema processuale tra una domanda di mobbing e un riconoscimento di straining in quanto nel nostro ordinamento vige, come è noto, il principio tra il chiesto ed il pronunciato ( in pratica il giudice non può andare oltre la richiesta avanzata dalle parti e si deve limitare a decidere su questa anche qualora ravvisasse nei fatti altre ipotesi giuridicamente possibili) quello su cui si vuole porre l’attenzione è la nuova figura dello Straining considerato un minus del Mobbing.

Lo Straining consiste in una forma attenuata di mobbing nella quale non si riscontra il carattere della continuità delle azioni vessatorie come può accadere, ad esempio, in caso di demansionamento, dequalificazione, isolamento o privazione degli strumenti di lavoro. Se la condotta nociva si realizza con una azione unica e isolata od anche in più azioni ma prive di continuità non si è sicuramente in presenza del fenomeno di mobbing ma bensì siamo dinanzi ad una ipotesi di straining. Anche questo fenomeno può creare una situazione di stress con cause che possono provocare gravi disturbi psicosomatici, psichici ecc.

Pertanto anche in assenza della continuità della condotta anche lo straining può trovare sede in un giudizio civile sempre in applicazione dell’art. 2087 c.c. potendo persino dar luogo ad ipotesi di reato sempre che ne ricorrano i presupposti.

Se dovessimo pertanto dare una definizione allo straining lo potremmo correttamente definire come un illecito analogo al mobbing ma non continuativo e non necessariamente caratterizzato dall’intento di perseguitare o emarginare il dipendente anche se produttivo comunque dell’effetto di indurre nel lavoratore la percezione di una inferiorità nel rapporto lavorativo o uno stato di frustrazione che può incidere sulla salute e qualità di vita.

Anche lo straining può concretizzarsi in fatti di demansionamento, ingiuriare, isolamento ecc.

Lo straining assume rilievo, pertanto, quale violazione del dovere di adottare tutte le cautele atte ad assicurare al lavoratore condizioni di lavoro sane e a evitare condizioni stressogene.

Proprio in virtù della applicazione dell’art. 2087 c.c. Il datore di lavoro risponde anche qualora la condotta illecita sia connotata da colpa e non da dolo non essendo richiesta quella intenzionalità caratterizzante  appunto il dolo.

Nel mobbing la condotta deve essere necessariamente plurissussistente e perdurante in un lasso di tempo considerevole (almeno 6 mesi) mentre così non è nello straining.

Così, ad esempio, ‘assoggettamento ripetuto a procedimento disciplinare, poi non sfociato in provvedimenti sanzionatori o conclusosi con sanzioni non impugnate può essere considerato straining perché può essere visto come intento persecutorio.

Importante è poi evidenziare come la Corte di Cassazione abbia sottolineato che anche qualora un soggetto proponesse una azione per mobbing ma poi gli elementi caratterizzanti questa fattispecie non venissero riscontrati e/o provati interamente nel procedimento, vi potrebbe essere la configurazione della fattispecie di straining e quindi il lavoratore potrebbe comunque vedersi riconosciuto un risarcimento anche se in maniera inferiore.

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