L’evoluzione “social” dei rapporti umani ha portato con sé la necessità di riqualificare e rideterminare la gamma di condotte che possono assumere, sotto un profilo penale, un valore rilevante.

E’ evidente che venti, trenta anni fa il concetto di “difesa della reputazione” lo si contestualizzava in relazione a determinate situazioni quali, ad esempio, la stampa.

Oggi tutto è cambiato.

Chi di noi non accede ad internet con la stessa frequenza con cui compra il pane o il latte?

Anzi, la frequenza è maggiore se pensiamo all’uso dello smartphone ed alla possibilità che lo stesso ci dà di affacciarci sul mondo globale alla velocità di un touch.

Queste evoluzioni continue hanno costretto il mondo del diritto a rimboccarsi le maniche e, attraverso la legiferazione o, meglio, attraverso le pronunce di giurisprudenza, andare a disciplinare anche questo nuovo modo di interagire sforzandosi di descrivere le situazioni patologiche che si possono verificare, approntandone una tutela.

Il lavoro non è stato semplice riproponendosi anche in questa sede, la dicotomia tra libertà di manifestazione del pensiero (art. 21 Cost.) e diritto alla reputazione (ex 594 c.p. oggi depenalizzato, 595 c.p.), ma, soprattutto, dovendo affrontare un mondo tutto nuovo che è il web dove, a differenza di un articolo di giornale, individuare con certezza l’autore è tutt’altro che agevole.

Lasciamo ai dotti l’ampia disanima del percorso giurisprudenziale che ci ha condotti all’equiparazione di social come facebook alla carta stampata e concentriamoci sulla tutela della reputazione su questo canale social.

Come si riconosce una diffamazione a mezzo Facebook e come ci si tutela dalla stessa?

Innanzitutto Facebook è, da tempo, considerato come uno strumento di divulgazione equiparato alla stampa pertanto, laddove si ravveda un’espressione diffamatoria la stessa verrà inquadrata non semplicemente come diffamazione bensì come condotta aggravata (art.595 comma 3 c.p.) il che presuppone che la cornice della pena è più grave rispetto all’ipotesi “base” (la pena del comma 1 prevede la reclusione fino a un anno e la multa fino a 1.32,00 euro, il comma 3 prevede una pena da sei mesi a tre anni di reclusione ed una multa non inferiore a 516 euro).

Quando una esternazione su Facebook diventa una diffamazione? Lo diventa quando la frase utilizzata “offende l’altrui reputazione” laddove, per reputazione, si intende la “considerazione in cui l’individuo è tenuto dalla comunità in cui opera ed è conosciuto”.

Al fine di valutare se vi sia stata lesione della reputazione occorre valutare il significato complessivo delle parole scritte.

La manifestazione offensiva ha un significato che, per quanto collegato con le parole pronunciate o scritte, non è sempre identico per tutte le persone. Ciò che decide è il significato obiettivo: il senso che l’espressione ha nell’ambiente in cui il fatto si svolge, secondo l’opinione della generalità delle persone.

E’ dunque evidente che il valore offensivo di una espressione sia assai relativo, variando coi tempi, i luoghi e le circostanze.

Un esempio: il termine “mafioso” che normalmente è considerato disonorevole, in alcuni ambienti non è ritenuto tale.

Proprio per questa variabilità, la giurisprudenza è concorde nel ritenere che, per fondare la sussistenza della diffamazione, vada analizzata la frase nel suo intero, il contesto nella quale essa è espressa nonché le modalità con cui viene esternata. Va ricordato, infatti, che esiste il diritto di critica idoneo a scriminare la condotta diffamatoria ed esso può essere invocato nella maggioranza dei casi fatta eccezione quando si tratti di espressioni che ledano il rispetto della dignità altrui e si trasformino in gratuiti attacchi alla persona.

In sostanza, prima di ritenersi diffamati occorre una verifica approfondita della frase ritenuta colpevole, la certezza che la stessa sia riferibile a se stessi e il contesto nella quale essa è contenuta.

Quando, fatte le opportune verifiche, si ritiene che la frase usata esuberi i normali confini della critica per affondare nella mera denigrazione sul piano personale, si deve agire esclusivamente a mezzo della proposizione di querela con l’unico termine dei tre mesi dalla percezione dell’offesa stessa.

Avv. C. Romanini

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