Non è vero che non siamo stati felici (Irene Salvatori, Bollati e Boringhieri, 2019)

“Da quando non ci sei si è alzato un confine tra me e gli altri che mi ha trasformato in una straniera. Posso accogliere, essere accolta ma appartenere mai”

La maternità è al centro del lungo dialogo tra la protagonista e la madre ormai defunta per un cancro inatteso e violento. In seguito all’evento luttuoso la giovane donna attraverserà un inferno lungo quindici anni, sposando la persona sbagliata e avendo tre figli, l’unico modo per stare a galla. Arrivata a toccare il fondo, intraprende un percorso psichiatrico.

La protagonista racconta alla madre fisicamente assente la sua avventura di madre coi suoi tre bambini tra gli anni ottanta e novanta. Un nucleo di quattro persone, il padre non fa parte della famiglia, viene nominato più volte per l’impossibilità di adempiere alle proprie responsabilità di genitore e a quelle delle vita in generale. I quattro girano per l’Europa seguendo i lavori di traduttrice della mamma con alcuni episodi in Versilia.

Irene Salvatori mette così a nudo il ruolo di madre e di figlia, in quella congiunzione che è la maternità: paradossi, sfide, complicazioni e attimi gioiosi si alternano in un dialogo doloroso, profondo, schietto e efficace per arrivare a colpire il lettore. Da una parte si ha la sensazione di entrare in punta di piedi come spettatori nella vita degli altri, dall’altra sembra di vedere nelle pagine elementi della propria esistenza. La scrittura, il dialogo servono per curare il dolore o meglio i dolori. Il dolore per la scomparsa dei propri cari, i dolori accumulati negli anni. Salvatori sa focalizzare bene il momento in cui ci si trova alle prese con i figli e si fanno i conti con i figli che siamo stati. Un percorso pieno di dolore che apre la speranza alla rinascita, alla cura del trauma come chiave per la conquista della felicità.

 

(Visitato 193 volte, 1 visite oggi)

Intrigo bretone [Recensione libro]

La Piccola Farmacia Letteraria (recensione)