“Ricordati di Bach” (Alice Cappagli, ed. Einaudi, 2020)

“La musica era un modo di vedere le cose”

Cecilia è una bambina che perde l’uso del braccio sinistro a seguito di un incedente nella vettura guidata dalla madre. Dopo varie visite specialistiche, Cecilia trova nella musica la vera e propria terapia per riprendere l’uso del suo arto e una profonda fiducia nel futuro e in se stessa. La storia si svolge nell’arco di 10 anni, dal 1968 in poi, la durata degli studi al Conservatorio. Il romanzo è ambientato a Livorno negli anni in cui il conservatorio sarà effettivamente riconosciuto legalmente. Tutta la storia è incentrata sulle relazioni. L’ universo di Cecilia ruota intorno ai genitori, a un padre capace solo di potare le aspirazioni della figlia e a una madre che cerca gradualmente di comprendere la strada scelta dalla ragazza. Nel romanzo c’è spazio per l’amicizia, per i primi amori, per il rapporto con la scuola e soprattutto con il maestro di Violoncello, Smotlack. Anticonformista, sfuggente, capace di dare a Cecilia il coraggio e la fiducia di cui necessita senza cadere nella retorica del pietismo, è un personaggio di spessore, poliedrico, capace di attrarre l’attenzione narrativa e ergersi a vero motore della storia. Sarà proprio lui a insegnare a Cecilia l’amore per il rischio nella scommessa quotidiana con se stessi.

Il romanzo della Cappagli è delicato e potente al tempo stesso. E’ un romanzo su come convivere con la consapevolezza della propria unicità, ma anche una storia sulla determinazione, il coraggio, la necessità di intuire e perseguire la propria strada. E’ anche un’opera di grande amore per la musica: numerosi sono i riferimenti alla tecnica, alla storia della musica, ai brani classici che accompagnano le vicessitudini di Cecilia. Nel racconto, sebbene siano presenti passaggi traumatici e decisi, c’è sempre una bolla di consapevolezza da cui osservare e vivere le cose, capace di rendere l’ironia un contrappunto armonico nella disposizione degli eventi. E’ un romanzo anche dove ritroviamo Torre del Lago Puccini e la sua orchestra come prima meta di un volo che ha trovato il coraggio di innalzarsi. Ciò che più mi ha colpito è il rapporto allieva-docente: un rapporto profondo, incentrato sulla persona, sulle possibilità e le aspettative individuali, sull’adattare la metodologia a ogni allievo perchè sappia muoversi con ritmo e armonia non solo tra gli spartiti ma nella vita stessa. Credo che una delle frasi finali contenute nel romanzo “Ricordati di Bach, non di me” sia espressione massima di cosa un docente può essere nella vita degli allievi, quando è talmente incisivo che la sostanza delle proprie azioni, dei propri pensieri risulti essere una cosa sola con ciò che si insegna. Ispirato alla biografia dell’autrice, “Ricordati di Bach” è un libro da leggere che ha molto da raccontare e da far riflettere, un inno alla forza di vivere, nonostante tutto e tutti.

“Le vere lezioni, come ho imparato, non sono quasi mai a lezione”

Erika Pucci

@erykaluna

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