«Stiamo vietando stiamo stringendo stiamo facendo. È strano che abbia usato il noi, un io aumentato, per descrivere questa situazione, perché il nodo è proprio che mai come ora io non posso fare e decidere quasi nulla. Io, come quasi tutti gli altri, ricevo decisioni.»

Da mesi mi chiedevo quando avrei letto qualcosa di originale e interessante sulla pandemia e leggendo il romanzo di Alessandro Gazoia ho trovato un modo di raccontare adeguato, originale, a tratti destabilizzante in cui, per altro, la pandemia alla fine è uno dei tanti elementi che emergono nella narrazione.

Il romanzo si sviluppa sui sentieri dell’autoficiton: Ale è un editor che si ritrova durante la pandemia e il primo lock down a lavorare sempre di più in smartworking, a gestire una storia d’amore a distanza con le crescenti difficoltà ma soprattutto a fare i conti su se stesso e su cosa significa fermarsi per poi vivere più pienamente e mettersi in gioco.

La stori alterna ricordi in diretta dei giorni della pandemia da marzo 2020 fino all’estate quando finalmente si potrà viaggiare di nuovo in treno incontro a un futuro comunque impossibile da immaginare.

Giorno per giorno Ale, il protagonista e al contempo il doppio dell’autore, si interroga sulle restrizioni che decidono per noi, sui cambiamenti che la nuova situazione riguardante tutti comporta. Nelle pagine di Ale si susseguono il figlio che fa la spesa alla madre,i rapporti obbligatoriamente veicolati dal telefono e dai media digitali, l’editor alle prese con scrittori in cerca di conferme, l’innamorato che mette in stand by una relazione per non sprofondare negli abissi.

Mi piace come come Gazoia spiazzi continuamente il lettore cercandone al contempo la complicità: quella che inizia come una storia d’amore ostacolata dalla pandemia, diviene in realtà una messa a fuoco forte e efficace sulla precarietà del lavoro, sul ruolo delle distanze e del distanziamento, sulle relazioni personali e lavorative sempre più smart, sul mondo perennemente in bilico dell’editoria.

Il libro offre una struttura molteplice: alla narrazione lineare dei giorni della pandemia, sono intervallati i microracconti di Ale, dei gioielli di micronarrativa.

Il titolo del libro, ispirato al capolavoro di Fassibinder, “Un anno con tredici lune”, secondo la leggenda per cui gli anni con tredici lune sono nefasti.

E’ con forza che il vortice e l’incertezza descritti da Ale portano al conflitto tra immobilismo e partecipazione, empatia e indifferenza, voglia di non muoversi e desiderio di provare a fare un salto oltre.

Grata a Gazoia per le sue “Tredici lune” che considero una prova narrativa molto interessante e innovativa, felice che abbia trovato spazio fra i candidati al premio Strega 2021.

“lo avete notato adesso, in questa presente pandemia, che prima le parole non significavano più niente e non ce ne accorgevamo neppure?”

Erika Pucci

@erykaluna

In collaborazione con libreria “Lettera 22 Viareggio”

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“Tredici lune” [Recensione libro]

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