Magnificat Amour (I. Santacroce, Solferino editore)

Il libro

“Tu senti la vertigine della caduta, dei caduti nella guerra della gioia”

Isabella Santacroce, autrice di rilievo appartenente anche al movimento dei Cannibali con Ammaniti e Aldo Nove. La scrittrice di Riccione ha saputo ritagliarsi, fin dal suo esordio con “Fluo” nel 1995 per Castelvecchi, uno spazio importante e originale grazie alla sua scrittura ricercata e conturbante. Dopo anni di silenzio torna in libreria con “Magnificat Amour” edito da Solferino, suscitando grande interesse per un romanzo dallo stile eccelso.

Innanzitutto la trama ha un’importanza secondaria in questo libro, perché sono la parola e la narrazione che fanno la storia stessa. Al centro del libro troviamo due cugine caratterialmente opposte, Lucrezia (favolosa, accattivante, “maestra dell’immondo”) e Antonia (“uno scarabocchio con l’incarnato olivigno”). Il contrasto tra le due si accentua quando nelle loro esistenze irrompe il pianista Manfredi, i suoi occhi ci raccontano tutto di lui “nel suo sguardo ci sono secoli di luce su strapiombi di desideri mai avverati”).

Poi ci sono suor Annetta, impegnata a scrivere un libro verso Dio, e Isabella stessa che traspone il suo diario di scrittura a proposito di questo libro “monstrum”.

La voce dell’autrice è dirompente e ci regala personaggi memorabili, tra tensione e desiderio, senso di colpa e abisso, che si fanno specchio degli aspetti della declinazione umana piu’ stravolgenti e intimi, con una cura sacerdotale della parola.

Note al margine

“L’indefinibile  che si muove e sale, è l’altrove”

Ho amato da sempre la scrittura di Isabella Santacroce che, a mio avviso, resta unica ed esemplare nel suo genere proponendoci ancora una volta un romanzo irriverente costellato da una maturità artistica importante. Ogni frase del libro andrebbe sottolineata perchè l’autrice, come pochi, attraverso “Magnificat Amour” non solo ci restituisce una fotografia dettagliata delle passioni e dei contrasti umani, ma soprattutto la potenza della parola. La parola scelta, levigata, sorseggiata. La sua prosa è caratterizzata da un’altosonante poesia: Isabella Santacroce sa giocare con la materia letteraria e usa gli strumenti narrativi con grande abilità e coinvolgimento, senza mai cadere nell’esercizio stilistico. Il ritmo, la ricerca del suono giusto, ellissi e paralissi, analessi e anacronie, non sono solo la forma del dolore, dell’angoscia, dell’amore e del desiderio che pervadono il romanzo, sono essi stessi materia narrativa.

I personaggi prendono forma in un contesto sfumato, come fossero apparizioni e nel vortice dei loro giorni e dei loro sentimenti, ci fanno sentire i brandelli di carne e cuore di cui sono fatti e che ricalcano l’impotenza di tutta l’umanità. La bussola che rischiara il cammino di questo viaggio intriso di palpitante nostalgia è l’amore “capace di camminare sull’orlo degli abissi…l’amore, ancora una volta l’amore”. 

Era tanto che non leggevo un romanzo così potente, fuori dalle righe e dai canoni, eppure intriso di grandezza letteraria e autoriale, dove il segno e le parole dominano su tutto il resto dell’opera.  Una parola che non è solo simbolo sulla carta ma che agisce, capace di scuotere i personaggi, gli eventi, di scandagliare e travolgere e avvolgere il lettore. Una letteratura che è vera opera d’arte, raggiungendo quel livello trascendentale che spesso nella nostra editoria manca.

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