Galli, dall’ultimo posto al trionfo: “Dedicato a papà Renato” (video)

VIAREGGIO. Un altro plebiscito, un altro verdetto che mette d’accordo (quasi) tutti. Vince il sanguinario barbaro di Fabrizio Galli che calpesta e decapita il David di Michelangelo. Un trionfo annunciato, il suo. E che arriva a un quarto di secolo di distanza dal primo – e, fino a stasera, unico – successo di Galli tra i carri grandi. Ma se nel 1991 era “solo” un giovane e promettente costruttore che denunciava le stragi del sabato sera (e fu tra i primi a preconizzare la moda dei dj), oggi rientra a pieno titolo tra i carristi più navigati ed esperti che soprattutto negli anni Novanta sperimentò materiali alternativi alla cartapesta e soluzioni artistiche sempre nuove. Galli non saliva sul podio da dieci anni: ora ci rimette piede da indiscusso vincitore.

Si parlava di plebiscito. Ebbene, dopo la vittoria unanime di Massimo Breschi dello scorso anno è arrivata quella di uno degli esponenti della dinastia più vincente di sempre nella storia del Carnevale. Una vittoria diversa, sia nei temi scelti – la pedofilia un anno fa, l’imbarbarimento culturale della nostra società oggi – sia nel profilo dei protagonisti. Si è passati da un Breschi recalcitrante alle nuove tecnologie (non ha neppure un telefono cellulare) a un Galli che su Facebook ha raccontato una foto-storia della sua ultima fatica illustrando tutte le fasi della lavorazione, dalla creta fino alle rifiniture del colore. E da più parti sono state esaltate le sue doti di modellatore – convincente la reinterpretazione di un David tramortito al suolo anziché fiero e in posizione eretta – e di scenografo – s’intravede un richiamo alla celebre locandina di “1997: fuga da New York” con i detriti della Statua della Libertà in evidenza.

Ma quello di Galli non è stato solo il carro che ha incontrato maggiormente il gusto di giurie e pubblico: è la perfetta sintesi di uno dei Carnevali più cupi di sempre – non c’è mai stata una sfilata sotto il sole: se non è record questo… – e a ben pensarci mette a nudo anche l’imbarbarimento di buona parte della città che insiste e persiste nel denigrare la sua manifestazione principale. Quella che, in fondo, racchiude le nostre radici. E che ancora tiene a galla una Viareggio sempre più dissestata.

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