VIAREGGIO. “Mi affligge vedere come proliferano, in tempi di crisi, le leggende metropolitane sulla purezza della tradizione – tralasciamo subito la diatriba sul significato della parola cartapesta, o carta a calco e la miriade di varianti possibili. Nei carri del Carnevale di Viareggio ho sempre ammirato l’ingegno, la spettacolarità e la filosofia pratica dei materiali usati, più che l’applicazione ottusa di regole che per sua natura il Carnevale ha sempre trasgredito.” A parlare è Gilbert Lebigre, campione in carica dei carri di prima categoria, a proposito della polemica sulla possibile scomparsa della cartapesta dal Carnevale in una nota personale su Facebook.

“La cartapesta, o carta incollata a calco, mi affascina da sempre e ogni qualvolta posso la uso e la promuovo nel mondo: se volete ho anche a disposizione tesi sull’argomento, realizzata nei primi anni Ottanta, che abbraccia miriadi di altri oggetti – sarcofaghi egizi, giocattoli, lacche cinesi, mobili dell’epoca vittoriana, serbatoi degli aerei della Seconda guerra mondiale, scenografie rinascimentali riciclate, case del 20° secolo impermeabili e ignifughe in cartone. Tutto questo all’insegna della trasformazione di scritti scartati e riciclo della carta, ma di questi tempi trovo la retorica sull’argomento profondamente riduttiva e sterilizzante specialmente se affrontata con toni da puristi.

“Per me l’introduzione della cartapesta nel 1925 grazie a Tono D’Arliano è stata una genialità visionaria e rivoluzionaria rispetto alle tecniche di quei tempi, l’uso di un materiale da recupero povero, economico e leggero che trasponeva la notizia scritta spesso propagandistica in un oggetto al di là delle logorree retoriche, in un oggetto tangibile.

“Anche per l’uso del polistirolo che è stato fatto da molti carristi, anche fra i più valenti, con risultati e giusti riconoscimenti senza che nessuno se ne curasse, ha spesso permesso di realizzare dei carri ammirati che mai avrebbero potuto essere fatti altrimenti. Il polistirolo, che non mi sta particolarmente simpatico ma che a volte uso quando non ho alternativa, non è l’unico materiale nuovo fra l’altro: anche la tecnica della faesite o compensato intrecciato, la vetroresina o la più recente plasticreta hanno soppiantato lo strato di gesso e colla come rinforzo e limitato l’uso e il peso di armature metalliche,hanno dato vita a carri che hanno entusiasmato e suscitato emozioni e ammirazione.

“La bolla di significato che sono i carri allegorici è per me intrinsecamente legata alla materia di cui sono fatti: la loro superficie vibra della loro elaborazione tecnica spettacolare e poetica, in una creazione sempre rinnovata. Così ad esempio, a dispetto di chi dice il contrario, le nostre oche erano effettivamente in cartapesta – giornali incollati a calco – ricoperta di sacchetti di plastica: parlavano del consumismo!

“La ballerina era fatta di cartapesta, dove invece del giornale usavamo il cartone ondulato: volevamo avere una superficie che avesse una fibra simile al legno e la poesia del materiale riciclato. E così via per ogni scelta di materiali che abbiamo fatto nei nostri carri.

“Forse, al di là di considerazioni riduttive e che ignorano le nostre vere problematiche ma che se la raccontano a secondo dei propri istinti, mettendo in ballo mistiche ritualizzazioni, fortemente limitative della libertà di espressione – la nostra stessa sopravvivenza economica -, penso che il dibattito e le passioni si arricchirebbero in una consapevolezza dell’arte, della spettacolarità, dell’innovazione, della satira che sono a mio parere la vera tradizione e unicità del Carnevale di Viareggio.

“Del resto, i nostri stessi maestri, i carristi della ‘tradizione’, le stesse persone a cui adesso si crede di far riferimento ci hanno insegnato con l’esempio l’esatto contrario di quello che si va propagandando: superare sempre se stessi avendo il coraggio di un’espressione libera e ciò anche nella tecnica, insegnandoci l’uso di materiali alternativi alla cartapesta quando è necessario, a seconda di ciò che si vuole e si può esprimere.”

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