Foto Simone Pierotti

VIAREGGIO. “Esco da un Partito che non mi appartiene più. Me ne vado amareggiato e con un fievole senso di sconfitta, con quell’amaro in bocca per non essere riuscito a svolgere, insieme ai miei compagni, il percorso di rinnovamento politico all’interno del partito, per non aver portato alla vittoria il pensiero che un partito comunista potesse finalmente uscire dalla proprie stanze, che potesse riappropriarsi del vero senso della politica, quello di applicare le proprie ideologie al servizio del popolo.” Inizia così la lunga lettera con cui Michelangelo Di Beo, segretario cittadino dell’Unione Inquilini, annuncia le sue dimissioni da segretario del circolo Caracol di Rifondazione Comunista e la sua uscita dal partito che lo aveva sospeso per sei mesi lo scorso febbraio.

“In questa esperienza ho però trovato un grosso tesoro: un gruppo di giovani compagni, che faticano e si sacrificano per un ideale, che hanno risollevato, oltre ogni confine storico pregiudiziale, il vero senso dell’essere comunisti. Sono entrato nelle case delle persone, ho ascoltato le loro disperazioni, ho atteso la fine delle loro lacrime e alcune volte mi sono emozionato con loro, ho lottato e lotto perché la mia idea di politica possa aiutare queste persone a non piangere più.

“Con il nostro lavoro abbiamo aiutato queste persone concretamente, abbiamo fatto capire loro che la politica non è solo quella che vedono in televisione, che la riappropriazione culturale alla lotta capitalistica parte proprio da queste pratiche e che con noi troveranno sempre dei compagni con cui lottare. Questo è essere comunisti, per me.

“Quando vedo che tutto questo potrebbe finire per colpa di chi vuole a tutti i costi non ascoltare questi pianti, capisco che è giunto il momento di lasciare il partito. La mia Rifondazione doveva essere un partito apprezzato dai lavoratori, dagli ultimi e dai dimenticati. Volevo che Rifondazione mettesse in pratica con il popolo e per il popolo la lotta di classe fatta dal basso, volevo che si smettesse di ricorrere ai soliti stratagemmi da burocrati incalliti attuati dai dirigenti del partito. Speravo che lottare nei quartieri con gli operai, con i senza tetto, con famiglie in crisi economica, con i precari e i pensionati, con gli immigrati e con i giovani, fosse il più bel gesto politico che un uomo potesse dare alla salvaguardia della collettività sociale.

“Credevo che le contro proposte politiche che elaboriamo ogni giorno, potessero veramente cambiare loro la vita. Credevo che tutto questo potesse essere supportato dai miei valori e dai miei principi che si basano sull’idea di una politica fatta per la libertà, per l’uguaglianza e per la ribellione alle ingiustizie e credevo che il collante perfetto per tutto questo fosse il Partito di Rifondazione Comunista. Sentirò sempre la necessità di appartenere ad un partito giusto che lotti per la libertà del suo popolo.

“Il partito in cui io militavo e in cui avrei voluto militare non esiste più: localmente è stato dilaniato da un gruppo dirigente attento solo agli inciuci politici, un gruppo dirigente che attacca dall’interno il lavoro dei giovani, che si permette di sospendermi per sei mesi per aver espresso pubblicamente il mio pensiero su di loro, un gruppo dirigente impegnato solo nelle lotte interne di partito, attento solo allo statuto.

“Non posso più stare in un partito con dirigenti che hanno valicato ogni limite di rapporto democratico con i propri iscritti, che hanno offeso l’essenza comunista e che hanno riportato indietro di 50 anni il modo di far politica, pretendendo in maniera autoreferenziale, di governare il partito da soli, non accettando sia i percorsi democratici, sia i consensi di massa che vengono manifestati all’area giovanile del partito.

“So di essere e di agire nel giusto e per coerenza lascio a testa alta. Lascio il Partito anche perché mi vede ormai in contraddizione con le volontà nazionali dello stesso, con la mattanza elettorale che abbiamo subito siamo ormai un cadavere da resuscitare: continuiamo a cercare la coalizione, l’appoggio e la considerazione di una classe politica italiana che ormai non ci rappresenta più o, almeno personalmente, non mi ha mai rappresentato.

“Non possiamo predicare coerenza se poi il partito è il primo a non rispettarla, non possiamo continuare ad apparire come ai nostri elettori in modalità ‘due facce’ dove al nazionale si predica una linea politica e localmente si va nella direzione opposta. Credo che la mancanza di chiarezza del partito riguardante l’alleanza con il Partito Democratico e con il centrosinistra che lo appoggia sia un nodo cruciale della problematica interna.

“Il sentimento d’amore che mi ha sempre spinto alla politica è l’odio per l’indifferenza: mai potrò esimermi dall’interesse per ciò che mi circonda, e non potrò mai ritirarmi dalla lotta per cambiare lo stato attuale delle cose. Per questo un partito che non resiste più, ma che naviga su zattere precarie, non ha più modo di appartenermi.

“Resistere è la più bella forma di rispetto per il proprio onore, è la più bella dimostrazione di coerenza ai propri pensieri; resistere anche sapendo di combattere una battaglia forse persa, significa distinguersi dalla massa di indifferenza che si dilaga come una metastasi senza freni; resistere è doveroso per chi non può farlo, resistere porta a ribellarsi.

“L’amore per la resistenza e per la ribellione, sarà sempre parte della mia coscienza e con esse affronterò ogni attimo della mia vita, mai e poi mai smetterò di lottare, mai e poi mai mi arrenderò a chi mi vuole diverso e più incline ai semplici sistemi di utilizzo mediatico delle masse. In me troveranno sempre una impenetrabile voglia di disobbedienza per il raggiungimento della libertà di ogni popolo.

“Anche se continuerò sempre a rivedermi in molte lotte del partito, dispiaciuto lo saluto e ringrazio, per avermi dato ugualmente la possibilità di accrescere la mia formazione politica in questi anni.”

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