SERAVEZZA. In occasione del convegno svoltosi a Campiglia Marittima (LI) il 7 dicembre 2013, su “Valorizzazione dei materiali lapidei ornamentali del territorio del campigliese e della Toscana meridionale”, Gigliola Ciacchini, responsabile del Dipartimento ARPAT di Massa Carrara, ha tenuto una relazione sul tema “Le attività di ARPAT nei processi di coltivazione dei marmi e dei materiali lapidei” (vedi presentazione) nel quale ha fatto il punto della situazione. Proponiamo in questo numero di ARPATnews alcuni degli aspetti più significativi di tale presentazione.

Le cave delle Alpi Apuane

Nelle Alpi Apuane è presente la più alta concentrazione di cave di pietre ornamentali del mondo e in quest’area l’industria marmifera possiede la leadership mondiale del settore. L’introduzione massiccia del diamante nei macchinari di estrazione e lavorazione ha aumentato moltissimo la produzione ed ha portato alla realizzazione di fronti di scavo di dimensioni mai precedentemente raggiunte.Per questo, la gestione dei processi estrattivi e le conseguenze ambientali diventa, con la dimensione industriale che ha assunto l’attività, ogni giorno più difficile e delicata.

Inoltre, le Alpi Apuane rappresentano un caso emblematico, visto che il più grande comprensorio estrattivo di ornamentali del mondo deve convivere con il principale Parco Naturale della Regione Toscana.

Le circa 110 cave attive nell’area ai limiti del Parco sottopongono il territorio a un prelievo giornaliero enorme di materiale che rischia di cambiare i caratteri del paesaggio e dell’ambiente. Ciò non soltanto per le quantità di materiali estratti (ogni anno 1,5 milioni di tonnellate di lapidei ed oltre 2 milioni di tonnellate di pietrisco), ma anche per gli effetti negativi che possono determinare nell’ambiente,

L’attività estrattiva incide sulla salute delle acque delle Alpi Apuane. Si tratta di una zona ricca di acqua: fiumi, torrenti, ruscelli, molti dei quali anche sotterranei, contraddistinguono un territorio soggetto a una forte piovosità, in quanto le stesse Alpi Apuane costituiscono una barriera sia all’umidità che proviene dal mare, sia alle correnti umide meridionali, facendo sì che questa umidità si riversi per gran parte sul territorio apuano, rendendolo uno dei più piovosi d’Italia, secondo solo al territorio delle Alpi Carniche.

Questa elevata piovosità rende anche particolarmente ricchi i bacini dei fiumi e dei torrenti che solcano il territorio: i principali sono il Frigido, che bagna la città di Massa, il Versilia che invece scorre nell’omonima regione storica, famosa meta di vacanze e luogo di divertimento e mondanità, il Carrione che bagna la città di Carrara. I fiumi e i torrenti delle Alpi Apuane sono esposti a un costante rischio di inquinamento, tanto che sono stati diversi, nel corso degli anni, gli studi volti ad analizzare il rischio di vulnerabilità dei corsi d’acqua e delle falde acquifere della zona.

Un fattore determinante per la stabilità ecologica delle acque apuane è costituita proprio dalle attività connesse al marmo (estrazione e lavorazione), sebbene rispetto al passato la situazione sia notevolmente migliorata. Fino a non molti anni fa, le numerose segherie presenti sul territorio apuano avevano l’abitudine di scaricare nei corsi d’acqua la polvere di marmo, risultante dall’estrazione, dalla lavorazione e dalla segagione del materiale (la polvere è nota anche come marmettola). Malgrado non costituisca un serio pericolo per la salute pubblica, la marmettola svolge una forte azione inquinante in quanto responsabile di un grave impatto biologico sui corsi d’acqua apuani: la marmettola si deposita sul fondo dei fiumi e dei torrenti distruggendone i microambienti e disturbando l’insediamento di organismi.

 

Competenze di ARPAT in materia di cave

In materia di attività estrattive le competenze ARPAT riguardano il supporto tecnico e conoscitivo nell’analisi istruttoria, nonché l’attività in campo di controllo ambientale.

Funzioni di espressione di parere obbligatorio e su richiesta
Con l’art. 12 della L.R. 3.11.1998, n. 78, si afferma che l’Autorità competente al rilascio delle autorizzazioni acquisisce, in sede di Conferenza di servizi, i pareri relativamente agli ambiti di competenza di ARPAT e della ASL.

In base alla L.R. 22.06.2009, n. 30, “Nuova disciplina dell’Agenzia regionale per la protezione ambientale della Toscana”, ARPAT svolge attività di controllo ambientale, attività di supporto tecnico-scientifico, con particolare riferimento alla formulazione di pareri e valutazioni tecniche e attività di elaborazione dati, di informazione e conoscenza ambientale con riferimento alle matrici aria, acqua e suolo.

Le attività estrattive, in quanto attività produttive che interferiscono con differenti matrici ambientali, sono sottoposte ad una serie di autorizzazioni. In particolare, il Dipartimento ARPAT di Massa Carrara offre supporto tecnico agli enti in queste tipologie di procedimenti:

  • Valutazione di Impatto Ambientale (VIA) per i piani di coltivazione nelle aree contigue del Parco delle Apuane (Ente titolare del procedimento: Parco delle Apuane);
  • verifica di assoggettabilità a VIA dei piani di coltivazione in altre aree (Enti titolari dei procedimenti: Comuni);
  • procedimenti autorizzativi ai sensi della Legge Regionale 78/98 (Enti titolari dei procedimenti: Comuni);
  • procedimento di autorizzazione alle emissioni diffuse (Ente titolare del procedimento: Provincia).

Il Parco delle Apuane, prima di dare corso alla VIA, invita ARPAT, in base a vecchie convenzioni non più rinnovate, a partecipare alla “Commissione tecnica del nulla osta”, in cui è richiesto ad ARPAT di esprimersi sulla compatibilità ambientale verso le componenti aria e acqua. ARPAT ha sempre partecipato a queste commissioni, dovendo comunque esaminare la pratica per la VIA

 

Criticità riscontrate nella attività di supporto tecnico
Le criticità nascono dalla difficoltà di contemperare diverse esigenze, quelle del sistema produttivo (in questa zona ritenuto una eccellenza del territorio) e quelle ambientali (eccellenza non inferiore per la presenza di aree montane di alto pregio, Parco, vocazione turistica).

ARPAT, in sede di Confedenza dei Servizi (CdS), richiede che la documentazione presentata sia in linea con quanto previsto dalle norme e che siano prese in considerazione tutte le mitigazioni ritenute indispensabili per tutelare l’ambiente, tuttavia va rilevato che questa attività è resa più difficile dalla mancanza di alcuni strumenti di pianificazione (aree di salvaguardia della risorsa idrica di cui al DLgs 152/06 art. 94, piano di tutela del Parco cui rimanda il regolamento di gestione delle aree SIC, ecc.).

Principali interferenze con le matrici ambientali

  • Suolo e sottosuolo: inquinamento per sversamento oli/gasoli;
  • Acque superficial: alterazione dei parametri chimico-fisici (pH, torbidità, presenza di contaminanti) derivanti da:dispersione dei fanghi delle vasche di decantazione delle acque di dilavamento superficiale dei piazzali di cava e strade per movimentazione mezz; infiltrazione e scorrimento di acque superficiali non incanalat;
  • Acque sotterranee

Lo sviluppo ed esercizio dell’attività estrattiva, in particolare nei casi in cui interferisce con le acque sotterranee, può indurre fenomeni di contaminazione specifici riconducibili alla seguente casistica:

– Alterazione dei parametri chimici e chimico-fisici: pH, torbidità, solidi sospesi, conducibilità, ossigeno disciolto, metalli, presenza di contaminanti, ecc.,

– Contaminazione conseguente alla presenza di aree di rifornimento carburanti, depositi di oli e altre sostanze pericolose

– contaminazione dovuta alla lavorazione di terreni precedentemente contaminati,

contaminazione da oli, idrocarburi e solventi,

contaminazione conseguente a uso di esplosivi (es. NH3 e nitrati),

contaminazione da processi industriali interni al sito estrattivo,

contaminazione connessa a fenomeni di drenaggio acido.

La presenza di zone di frattura ospitanti una circolazione idrica e affioranti in superficie all’interno dell’area di cava costituisce una situazione di elevata vulnerabilità idrogeologica, potendo potenzialmente permettere una rapida infiltrazione di sostanze contaminanti nel sottosuolo. I casi di maggior rischio sono associati a un elevato grado di fratturazione che si spinge in profondità e/o a un’elevata apertura delle fratture. Tutti questi elementi devono essere rilevati, valutati e descritti in dettaglio negli elaborati grafici e nelle relazioni geologica e idrogeologica di supporto alla progettazione.

Gestione delle acque dilavanti le aree di cava
Le acque meteoriche ricadenti nell’area di cava, compresi i piazzali di lavorazione e le strade di servizio interne, devono essere smaltite tramite un’adeguata rete di drenaggio e di scolo, che deve essere rappresentata e descritta nella documentazione e negli elaborati cartografici del piano di coltivazione. Si deve evitare, in generale, l’afflusso delle acque meteoriche di dilavamento provenienti dall’esterno dell’area estrattiva attraverso la costruzione di una rete di fossi di guardia da collegare alla rete di smaltimento delle acque di superficie naturale e/o artificiale esistente.

Per evitare che si verifichi la presenza di particolare carico solido da erosione nelle acque raccolte o altri inquinanti, la loro raccolta ed immissione nei corpi idrici superficiali dovrà essere subordinata al passaggio in un sistema di vasche di decantazione o depurazione che permetta il deposito dei materiali solidi in sospensione, al fine di rispettare i limiti di torbidità previsti dalla normativa vigente, o di eventuali altri inquinanti.

Nelle aree di cava sono inoltre da prevedere zone di lavaggio delle ruote dei mezzi in uscita, per evitare ulteriore dispersione e risollevamento del materiale polverulento.

L’eventuale intercettazione di acque sorgive durante l’attività estrattiva ne dovrà prevedere il collettamento verso i recettori naturali e/o artificiali esterni, in modo da non avere commistioni con le acque meteoriche dilavanti l’area di cava ed eventuali aree di lavorazione presenti.

Polveri
Durante tutta l’attività di cava (preparazione, coltivazione, ripristino morfologico) si ha produzione di polveri diffuse e convogliate.

Quelle diffuse sono generate dall’attività di taglio dei blocchi e dalla movimentazione del materiale estratto. Dove possibile durante le operazioni di taglio sarà da prevedere la bagnatura. Gli automezzi e le macchine operatrici devono essere sottoposti a periodiche verifiche dei dispositivi di scarico e ne dovrà essere limitata la velocità di movimento. Saranno da adottare interventi per la creazione di barriere schermanti nei siti estrattivi. La viabilità di accesso alle aree di cava e le strade interne di arroccamento e di servizio dovranno essere adeguatamente compattate e periodicamente mantenute e, se non asfaltate, durante i periodi siccitosi dovranno essere bagnate con acqua, possibilmente piovana raccolta in cisterne, serbatoi o altra tipologia di deposito. Particolare attenzione deve essere posta alle strade di accesso in vicinanza di aggregati urbani o case isolate.
Fattori che influenzano la dispersione delle polveri:
• topografia del sito
• caratteristiche climatiche e meteorologiche del sito
• tipologia di vegetazione presente nell’intorno del sito estrattivo
• tipologia e quantitativo di materiale estratto
• metodi di coltivazione
• misure di contenimento adottate per le polveri.

 

Criticità riscontrate nella fase di controllo

I controlli riguardano fondamentalmente la gestione delle acque di lavorazione, delle acque meteoriche, del detrito e dei rifiuti. Senza considerare le problematiche introdotte dalla normativa sulle rocce e terre, già la gestione delle acque di lavorazione porta spesso a segnalare irregolarità per la mancanza di raccolta delle acque a piè di taglio, per l’assenza o il mancato utilizzo degli impianti di depurazione, che spesso sono descritti solo sulla carta, per la presenza di fango in tutta l’area di cava in inverno o di polvere in estate, pur se nei piani di gestione delle acque meteoriche è scritto che i piazzali sono mantenuti puliti per evitare il dilavamento, come richiesto dalla normativa sia sulle acque meteoriche che sul contenimento delle emissioni diffuse.

La gestione dei rifiuti è critica, normalmente si trovano rifiuti abbandonati in cave dismesse, senza che nessuno abbia provveduto a far attuare i piani di ripristino, almeno nella parte minima dell’allontanamento dei rifiuti presenti. La situazione migliora quando la manutenzione dei mezzi meccanici viene effettuata da ditte esterne che normalmente si prendono in carico i rifiuti prodotti.

Lo smaltimento del fango di depurazione delle acque (detto localmente marmettola) come rifiuto è ancora una eccezione, nonostante il fatto che sulle autorizzazioni sia quasi sempre indicato che la marmettola deve essere raccolta e smaltita. In questo caso ARPAT procede alla denuncia per smaltimento non corretto di rifiuti se non trova registrazioni di carico e scarico del fango per almeno un anno: se ci sono alcuni carichi e scarichi, non è facile sanzionare, perché non è così facile quantificare la produzione di marmettola ed il fango (miscela di acqua e polvere di marmo) in cava potrebbe anche non provenire dalla depurazione delle acque.

Le strade di arroccamento si sviluppano su pendii scoscesi e sono generalmente realizzate con ateriale detritico residuo delle lavorazioni di estrazione; questo comporta che non siano facilmente individuabili gli interventi necessari ad evitare che in caso di pioggia si trasformino in fiumi di fango biancastro che invadono le strade comunale ed i fossi esistenti e che in caso di tempo asciutto i mezzi di cava sollevino e trascinino polveri di varia granulometria. Il fatto poi che le strade di arroccamento servano normalmente più cave e siano in loco anche da molto tempo , complica ancora di più la redazione di prescrizioni opportune, la verifica ed il controllo.

In fase di rilascio delle autorizzazioni si sta, seppur lentamente, facendo strada la consapevolezza dell’importanza della gestione delle strade di accesso e delle modalità di verifica delle proposte gestionali con la ripartizione ed identificazione delle responsabilità anche di queste parti comuni.

La visione parcellizzata dell’attività estrattiva, per cui ogni cava viene vista come se fosse isolata, in un comprensorio come quello apuano dove spesso più ditte condividono accessi, piazzali, impianti e dove le caratteristiche dell’ambiente carsico rendono impensabile una separazione degli effetti della singola attività da quelle limitrofe, non consente di essere efficaci nella nostra attività di controllo e rende quasi impossibile essere incisivi in fase autorizzativa.

 

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ultimo aggiornamento: 30-12-2013


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