FIRENZE. “La cannabis in Toscana è già una terapia convenzionale. Dovrà esserlo ancora di più”. Con queste parole Enrico Rossi, presidente della Toscana e candidato alla rielezione lancia la sua nuova proposta, che riguarda l’uso dei farmaci a base di THC.

La proposta di Rossi consiste nell’ampliamento della rosa delle patologie da curare con la cannabis, nella semplificazione delle procedure di accesso al farmaco e nella predisposizione di corsi di formazione rivolti a medici e farmacisti per ridurre il divario di conoscenza che penalizza il farmaco e i pazienti.

“La nostra regione – sottolinea Rossi – è già produttrice: le infiorescenze dello Stabilimento chimico farmaceutico militare ci confermano che presto la Toscana diventerà la fornitrice nazionale di cannabis per uso terapeutico. L’unità complessa di Terapia del dolore dell’Azienda ospedaliera pisana oggi ospita circa 500 pazienti con varie patologie ed è già un centro di riferimento nazionale”.

“Attualmente – prosegue Rossi – i farmaci si acquistano in Olanda a prezzi molto elevati. Il fabbisogno italiano ammonta a circa 100 Kg all’anno. Noi puntiamo a essere la regione leader nel campo della produzione. Albert Einstein ha scritto: ‘Chi dice che è impossibile, non dovrebbe disturbare chi ce la sta facendo’ ”.

Oggi in Toscana con la cannabis terapeutica si curano i dolori da tumore, la SLA, la sclerosi multipla, alcune neuropatie (ad esempio quelle derivanti da schiacciamento delle vertebre), la stimolazione dell’appetito nei pazienti affetti da AIDS.

“Noi – dice Rossi – proponiamo l’estensione dell’uso della cannabis alla cura delle forme di dolore cronico refrattario di origine reumatologica (per esempio la fibromialgia), al morbo di Crohn, all’asma bronchiale, al glaucoma, ad alcune forme di epilessia resistenti ai farmaci, alla cura dell’ansia e dell’anoressia. La Regione si farà carico di tutte le sperimentazioni cliniche necessarie e attiverà anche un monitoraggio dell’uso clinico della cannabis in collaborazione con l’Istituto superiore di sanità”.

“Dopo aver letto la testimonianza civile di Walter De Benedetto – prosegue Rossi – ritengo di dover recepire il suo auspicio: l’abbattimento delle barriere burocratiche e dell’ignoranza, l’accesso sempre più rapido e semplificato al farmaco. Per questo in futuro ci impegneremo in una campagna di informazione e educazione  all’uso consapevole del farmaco, campagna che sarà destinata prevalentemente ai medici di famiglia”.

Ecco il testo della lettera di Walter De Benedetto:

Mi chiamo Walter, ho 43 anni, e a 16, dopo tre mesi di febbre persistente a 40 e vomito e rigidità muscolare, ricevo la mia prima diagnosi: una ” probabile” artrite reumatoide. Premetto che fino a quel momento non mi ero mai ammalato e che praticavo numerosi sport a livello agonistico tra cui judo e rugby.

L’artrite reumatoide è una malattia rara e di conseguenza le case farmaceutiche non sono spinte a fare ricerca. Gli introiti sarebbe estremamente bassi. Fino alla fine degli anni novanta la cura di base era “empirica”: sali d’oro e potentissimi antimalarici.

Dopo 24 anni, in cui ho provato diverse cure tra cui gli immunosoppressori e la chemio e dopo 7 viaggi in America, importavo legalmente la prima cura “seria” di base per l’artrite reumatoide, chiamata Embrel. Una fiala costava 400.00 lire, ne facevo una a settimana, tutto pagato con i miei soldi. Essendo la mia malattia una forma aggressiva, presa nei primi anni ottanta, quasi tutte le articolazioni sono state gravemente compromesse. Ho protesi alle ginocchia, alle anche, oltre che alle mani. Ho subito 18 interventi invasivi perdendo otto anni e mezzo della mia vita.

Venni poi a conoscenza delle capacità della canapa di lenire alcuni dolori e dopo averla provata clandestinamente mi accorsi di come i dolori diminuivano notevolmente e di quanto mi facilitasse ad addormentarmi in difficilissime posizioni antalgiche carpiate. Quando mi sdraio, certe articolazioni continuano a farmi molto male. Il dolore di cui parlo è un tipo di dolore che mi ha portato ad assumere, tramite il centro antalgico, morfina. Purtroppo la morfina agisce poco sul dolore e rende presto assuefatti al punto che si deve continuamente alzare il dosaggio.

Dopo 4 anni ero divenuto una larva. Mi accorsi dal mio deperimento (42 kg) che la morte era vicina. Incominciai a studiare in maniera seria la cannabis e iniziai anche a leggere e tradurre a fatica testi scientifici sulla cannabis medica. Cominciai a studiare il thc e il CBD e la sua forte azione contro le citochine. Dopo aver fatto cento domande, brutte figure, dopo esser stato deriso e apostrofato come tossico, da circa un anno e mezzo mi hanno prescritto un farmaco a base di infiorescenze denominato brodecan. Dopo tre mesi avevo già tolto la morfina (il mio dottore aveva detto di scalarla entro sei-otto mesi, ma io sentivo forti i benefici e l’ho ascoltato solo in parte).

Nella fase finale, cioè ora, la mia malattia inizia a colpire gli organi e il famoso polmone reumatoide sembra giovarne. Quando sto molto male mangio i biscotti, se invece cerco un effetto immediato, ma breve, sul dolore (che passa dopo due-tre ore) due o tre pipe ad acqua possono andar bene.

La malattia è ferma da circa 6 mesi. Non mi era mai capitato.

Il mio grazie va al Presidente della Regione Toscana Enrico Rossi e a Enzo Brogi che anzitutto si sono battuti contro il pregiudizio e hanno fatto in modo che nella mia Regione, sia pure in maniera ancora incompleta, alcune persone che soffrono di malattie gravi e incurabili possono beneficiare di un farmaco molto efficace, troppo sottovalutato e ancora poco conosciuto.

Il mio auspicio è che in futuro l’accesso al farmaco sia ancora più semplice e più veloce. A questo scopo ritengo sia decisiva l’informazione e la consapevolezza dei medici.

Grazie Toscana.

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ultimo aggiornamento: 10-05-2015


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