Smart Working: “necessità, no normalità!”

Lo afferma in una nota la Cgil

Con l’emergenza Covid-19 il Governo è intervenuto sulle modalità di accesso allo smart working introducendone per ogni tipo di lavoro subordinato una versione “semplificata” e poco regolamentata, che permarrà per l’intera durata dello stato di emergenza su tutto il territorio nazionale.

Questo però non è il lavoro agile, inteso anche come opportunità che migliora l’organizzazione e l’autodeterminazione, perchè manca della consapevolezza da parte delle forze sociali. Per molti, infatti, risulta un dispositivo imposto, senza regole, nè strumenti, e soprattutto senza che vi sia una reale dimensione di scelta.

Definito nella legge 81/2017 il lavoro agile presupponeva una volontarietà, frutto di un accordo, dove solo alcuni compiti sarebbero stati svolti da remoto.

Secondo Fiorella Crespi, Direttrice dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico la caratteristica dello smart working è l’autonomia nella scelta degli spazi, degli orari e degli strumenti da utilizzare, dunque le forme di lavoro agile imposte in questo periodo di emergenza non possono essere considerate come tali.

I dati ci dicono che il ricorso allo smart working è cresciuto in maniera esponenziale, rappresentando un rischio che diventi “super lavoro” e dove smart stia per “ufficio sempre aperto”. Siamo in un Paese in cui la struttura del mercato del lavoro presenta ancora profonde diseguaglianze legate al genere e dove la diffusione di una cultura dell’informatizzazione non è capillare.

È evidente che, ancora una volta, il prezzo più caro dell’emergenza pandemica lo hanno pagato e lo pagano le Donne, che quotidianamente hanno raddoppiato l’esposizione al lavoro perché sono sempre connesse facendo fronte anche alle incombenze domestiche.

La chiusura di scuole, asili e delle strutture per anziani ha comportato un aumento del lavoro di cura, spingendo le lavoratrici a trovare nuovi equilibri tra l’esigenza di continuare a lavorare, condividendo gli spazi di casa, e l’aumento delle problematiche familiari. Inoltre è aumentato il rischio di alienazione, provocato sia dall’isolamento che dal distanziamento sociale, fattori che inevitabilmente hanno minato la motivazione e la realizzazione di sé, relegando la donna sempre più in casa.

Una casa che sicuramente offre una sicurezza maggiore contro il contagio del Covid-19, ma espone invece ad un rischio ancora più pericoloso nei casi di violenza domestica. L’aumento delle donne vittime di violenza di genere in questi anni è cresciuto in modo esponenziale, sia per un disagio diffuso che per la possibilità, finalmente, di avere percorsi chiari di presa in carico e di denuncia. Ma in questo periodo di restrizione forzata e di ricorso a modalità di lavoro da casa, per alcune donne le case sono diventate prigioni e luoghi di segregazione. Stare barricate significa vivere a fianco con il carnefice e spesso essere costrette ad esporre anche i figli a quotidianità agghiaccianti. Il primo segnale d’allarme è stato dato, a livello nazionale, dal numero antiviolenza 1522 che ha registrato nelle prime due settimane di marzo un crollo del 55% delle richieste di aiuto.

I DPCM prodotti non sono stati pensati e prodotti in un’ottica di rispetto di genere, non hanno mai tenuto conto delle difficoltà che le lavoratrici, in smart working o no, hanno dovuto e devono ancora affrontare.

Nemmeno la fase 2, ovvero quella della ripartenza, che risponde solo ad alcune logiche, tiene conto delle necessità delle madri che dovranno rientrare nei luoghi di lavoro e soprattutto dei più fragili: i bambini e le bambine e gli anziani. Con le scuole ancora chiuse, la soluzione non potrà sicuramente essere il prolungamento dei congedi parentali, o del bonus baby-sitting. Non sarà mica per questo che potemmo andare a trovare i nonni, vero?

La segregazione di genere riduce la possibilità di scelta degli individui, determina disparità di retribuzione, rafforza gli stereotipi e i rapporti di forza diseguali nella sfera privata e pubblica.

Quindi lo smart working è una necessità momentanea ma non può e non deve essere una normalità, senza regolamentazioni nè accordi tra le parti volti a migliorare le condizioni di lavoro.

Mai più di oggi si rende necessario un confronto con tutte le Istituzioni del nostro territorio anche per queste tematiche.

È decisivo proteggere le donne dagli effetti secondari dell’emergenza, se non vogliamo tornare indietro di quarant’anni e ammalarsi del virus del modello patriarcale di cui ci stavamo liberando, attraverso il riconoscimento dei bisogni differenti, della salute di genere e dei diritti delle donne.

Occorre regolamentare l’introduzione dello smart working in modo che recuperi quella dimensione di accordo tra la lavoratrice e il datore di lavoro, integrandosi dunque con i bisogni delle persone.

La Cgil è con le donne e per le donne senza lasciarle mai sole.

Vogliamo il Pane le Rose ma anche il Lavoro

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cgil coronavirus smart working

ultimo aggiornamento: 29-04-2020


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