La legge del sognatore (Pennac, Feltrinelli, 2020)

“Verso i sei, sette anni ero convinto che ci fossero due vite, una con gli occhi aperti e l’altra con gli occhi chiusi” Fellini, il libro dei sogni.

Fellini, il grande regista, si riprende le vesti di grande sognatore nella penna ironica, dolciastra e puntuale di Pennac. In un racconto autobiografico, lo scrittore francese racconta il rapporto che fin da piccolo ha avuto indirettamente con l’indiscusso maestro del cinema portando il lettore in quella zona lussureggiant e fertile del sogno, della valenza onirica della realtà. Un racconto lungo, scritto “da nonno”, in cui ricordi, interrogativi, suggestioni, nuove scoperte si intrecciano e intrecciano il lettore in un abbraccio volto a dare spazio a quella parte di sè che è l’immaginazione.

Un grande omaggio al nostro Fellini, e soprattutto un monito chiaro, limpido, accogliente a coltivare i sogni, l’immaginazione. Tuttavia, con una vena talvolta amabilmente malinconica, Pennac si interroga anche con delicatezza sul tempo, sulla vecchiaia, sul senso dello scrivere, dell’insegnare. Al centro, come sempre, le amicizie e le relazioni profonde, quelle di una vita o quella scaturite in un attimo al ristorante.

Una piccola perla in cui viaggiare è meraviglioso.

A cosa servivano i tre quarti di testo che avevamo buttato nella spazzatura? Risposta: a fare di quel testo un organismo vivente. A fare di quella scrittura uno stile. A fare di quell’autore un individuo unico. Noi avevamo estratto il significato della vita, lì giaceva la vita del significato.

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