VIAREGGIO. “Ma si pole entra’?”. Quattro parole, scritte in un riconoscibilissimo vernacolo viareggino, campeggiano su un minuscolo striscione annodato sulle ringhiere di una tribunetta del PalaBarsacchi. Un pezzo di stoffa srotolato già in occasione di gara-uno dei playoff di hockey su pista tra Cgc Viareggio e Forte dei Marmi. E che, suo malgrado, è diventato triste profeta dello scenario di quella odierna.

“Ma si pole entra’?”. L’atmosfera che accompagna il quarto capitolo della sempre più appassionante saga del derby versiliese ricorda quella di un romanzo noir: la serata è umida dopo la pioggia caduta per quasi tutto il pomeriggio, blindati delle forze dell’ordine e transenne circondano il PalaBarsacchi. I cronisti si catapultano sul luogo della notizia. Manca la vittima. O forse no. È lo sport, oggi listato a lutto per una finale scudetto che si gioca senza tifoserie.

“Ma si pole entra’?”. No, cari viareggini. Stasera no. E se ne rendono conto i giocatori in fila per i saluti a un pubblico che tra fotografi, giornalisti, tesserati e poliziotti arriva a una cinquantina scarsa: pochi applausi riecheggiano nel silenzio assordante del palazzetto. Per chi è abituato allo scambio di opinioni con i colleghi o ai fischi degli arbitri sovrastati da cori e tamburi è un trauma: Mirko Bertolucci infila in rete dopo pochissimi secondi e udire con nitidezza l’esultanza della panchina bianconera è un’esperienza inedita che nessuno avrebbe voluto vivere. Sembra di assistere a una partitella d’allenamento.

“Ma si pole entra’?”. Nella porta presidiata da Stagi irrompono le palline scagliate dai giocatori bianconeri. Nelle orecchie degli spettatori, invece, finiscono suoni e rumori che in una partita “normale” non percepiresti. Come lo schiocco del chewing gum del presidente viareggino Palagi, come il cigolio dei cancelli delle panchine che avvisa l’ingresso in pista delle riserve. Quando il rossoblù Orlandi si appresta a battere un rigore, da una balconata interviene Palagi in viareggino stretto: “Alberto tirela alta”. L’ex di turno guarda in alto e accenna un sorriso. Ma verrebbe da piangere davanti a cotanta desolazione.

Foto Vt
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“Ma si pole entra’?”. Il repertorio di frasi degne di una partita da amatori – “Arbitro quanto manca?”, “È rigore, è rigore!”, “Il cartellino, arbitro!”, “C’è nulla lì arbitro?” – diventa la cacofonica colonna sonora di una finale scudetto inverosimile. Gli strilli dei giocatori sono inconfondibili, dallo strascicato accento latinoamericano di Nando Montigel alla cadenza fortemarmina di Federico Stagi. E le trombette squillanti portate in panchina servono solo parzialmente a far dimenticare l’assenza di tifo.

“Ma si pole entra’?”. No, purtroppo. I dirigenti bianconeri Palagi e Poletti s’improvvisano succedanei della torcida che non c’è intonando un “Centro! Centro! Centro!” e persino la canzone carnevalesca “Maschereide”. Superfluo sottolineare che chiunque avrebbe gradito sentir uscire quelle parole da mille e più bocche. Il Cgc vince, di sicuro è lo sport che ha perso. Troppa retorica? Forse sì. Ma risvolti positivi in una partita a porte chiuse, francamente, fatichiamo a trovarne.

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